domenica 26 gennaio 2014

Generazione nella Rete

Segnalo l'articolo di Paolo Vites uscito ieri su Il Sussidiario.net.

L'arresto di Justin Bieber, idolo dei ragazzi e delle ragazze, dà l'occasione di parlare della realtà di oggi, di Internet, della vulnerabilità dei nostri ragazzi e della sfida che i genitori e, aggiungerei, gli educatori in genere devono compiere nel tentare di trasmettere e infondere il gusto della bellezza, alternativa al vuoto e ancora di salvezza. L’articolo, in modo garbato, sostiene delle tesi che anche noi maestri e maestre ci impegniamo a tradurre nella pratica quotidiana e che si trovano espresse in alcune pagine del nostro libro.

Questo è uno stralcio dalla Prefazione a “Maestre allo sbaraglio”:
“ Dove ho sbagliato?”, “ Avrò sbagliato io?” e frasi simili ricorrono frequentemente nelle pagine che seguono, a indicarci come la buona maestra metta in discussione anche il suo operato e il suo modo di insegnare e non imputi gli insuccessi solo agli alunni, alle circostanze sfavorevoli o alle famiglie che non collaborano. Va notato, per inciso, che inversamente, in certa opinione pubblica, avviene il contrario: se le cose non funzionano, è colpa esclusivamente della maestra e, ampliando il quadro, se le cose vanno male nella società, è colpa della scuola o, quanto meno, è compito della scuola porvi rimedio. - Stragi del sabato sera? Droga? Illegalità diffusa? Bisogna che gli individui siano educati sin da piccoli! Bisogna che se ne parli a scuola! Questi problemi devono diventare materia di studio ! – Devono pensarci gli insegnanti, pagandosi magari l’aggiornamento in merito e i materiali occorrenti. Certo è comunque che ad assumere quantità eccessive di alcool, a ricorrere alla droga, a guidare dissennatamente o a comportarsi disinvoltamente nei confronti della legge e dell’etica i giovani non hanno imparato dagli insegnanti: hanno avuto altri maestri."
                                                                                                   Franco Groppetti
La scuola sovente non ha alleati soprattutto nel mondo dei mass media e dello spettacolo, anzi ... si chiede alla scuola di intervenire laddove le patinature hanno dato pessimi esempi. Dopo di che ... è la società, è la scuola ... che non riescono a dare la formazione giusta, i capri espiatori. Il successo, spesso provvisorio, è fatuo come tutte le cose belle solo in apparenza, ma che aldilà appunto di una vetrina, dietro non trovi molto: sovente trovi solo il nulla. La scuola si sforza di creare personalità e non idoli provvisori, si sforza di fare cultura cercando di dare istruzione e di invogliare a comportamenti responsabili i suoi allievi, questo invece di suggerire superficialità, comportamenti arroganti e sovente copiati dalle star al momento in voga: tutta mediocrità alla quale la scuola tenta di sfuggire e in merito a questo viene molte volte ignorata dai più.
Insomma: una battaglia ciclopica!
La scuola deve tornare al centro della società e punto indiscutibile di riferimento.

                          Francesca Cavaiani e Anna Bossi, che ringrazio per la collaborazione.
Ecco l'articolo
Foto segnaletica

Quando sono tornato a casa, la sera che si era diffusa la notizia dell’arresto di Justin Bieber, mia figlia – 11 anni – era già lì dietro la porta che mi aspettava. Era evidentemente agitata, ma soprattutto stupita. Voleva sapere conferme dell’arresto di Justin Bieber. Mia figlia è ancora in quell’età che, da buona femmina, tifa esclusivamente per le femmine come lei, la notizia dell’arresto di Justin Bieber non la addolorava tanto per l’arresto di un suo idolo (insomma, lei tifa per Selena Gomez e non si dà pace perché lei e sempre Justin Bieber, si siano lasciati), quanto la sua agitazione era dovuta a un qualcosa che non capiva e in un certo senso la turbava. Ad esempio non capiva come mai di qualcosa successo solo poche ore prima nella lontana America si parlasse già anche in Italia e di come lei e le sue amiche si stessero già messaggiando a tutta furia. Ho cercato di spiegarle qualcosa di quell’Internet che pure lei usa e abusa già da tempo (...)
(Continua a leggere l'articolo su Il Sussidiario.net qui)

mercoledì 22 gennaio 2014

Spazio per scrivere ... ancora ...: CONTRIBUTO N°3

Riceviamo il terzo contributo da Laura Lupo, maestra di Galliate (No).
Eccolo.

Chissà se la ministra...

Perché quando in televisione si parla di scuola, rimango sempre con l’amaro in bocca, con la sensazione sconfortante che nessuno ne conosca davvero la realtà?
 
Mi riferisco in particolare alla trasmissione di “Che tempo che fa?” dell’11 gennaio scorso: incontro con la ministra (da maestra fatico ad accettare i neologismi, ma forse quelli di genere hanno un senso..) Carrozza.

Tante osservazioni, anche giuste... ma possibile che il problema sia “il tempo pieno, realtà totale in Italia” (cit. da una domanda di Fazio alla ministra) e i compiti a casa?
 
Non è forse il contrario?

Non sono forse stati fatti tagli continui al tempo pieno... o noi viviamo una realtà parallela?

Non sono  forse altri i problemi, già più volte ribaditi, anche in questo blog?

·         La perdita continua di risorse,

·         l’eliminazione delle compresenze, con la possibilità di recupero di chi era in difficoltà  e di attività diverse e stimolanti,

·          la diminuzione della conoscenza e dell’attenzione data a tutte le bambine e i bambini, che era garantita dalle due insegnanti per classe e che via via scompare, sommersa da frammentazioni orarie assurde per la scuola primaria,

·         la gestione aziendale  e sempre più autoritaria delle nostre scuole, con la perdita progressiva del confronto, della ricerca, del dibattito,

·         le nuove tecnologie presentate come panacea per tutti i mali, ma che sono solo uno strumento (e tale devono rimanere);  strumento che tra l’altro diventa presto inutile, visto che se si rompe la lampada della LIM, ci vuole un anno intero per sostituirla... o che, se vogliamo usare il registro elettronico, dovremmo anche avere i soldi per una connessione che funzioni,

·         la mancanza di stima nei confronti dei docenti derivata spesso da cattiva informazione,

·         la delega delle famiglie che non possono (o non vogliono) più farsi carico del quotidiano supporto ai bambini; anche nei compiti (perché no?) che sì devono essere equilibrati, ma che hanno una loro funzione,

·         e forse ancora... il fatto che ai nostri bambini e bambine non chiediamo più le cose difficili e l’impegno e la fatica, che non li facciamo più crescere... o forse che li oberiamo di mille attività extrascolastiche non sempre necessarie, privandoli di un tempo “libero” davvero,

·         magari anche il fatto che il nostro (bellissimo) lavoro, sempre meno considerato socialmente, sempre più difficile e osteggiato e carico di responsabilità, sia diventato un lavoro ben poco ambito (anche perché mal pagato) e quindi sia talvolta scelto come ripiego....?
 
Potrei continuare, ma sento di diventare prolissa.

Sono solo domande, spunti di riflessione, che mi piacerebbe si allargassero anche al di là del nostro mondo di maestre sbaragliate.

Forse un libro come il nostro potrebbe aiutare a capire, chissà se la ministra lo leggerà!

                                                                                                           Laura Lupo
 

martedì 21 gennaio 2014

Spazio per scrivere ... ancora ...: CONTRIBUTO N°2

Pubblichiamo il secondo contributo inviato da Maria Rosaria Chielli, maestra di Galliate (No).

Breve pensiero per Maestre allo sbaraglio

Ogni mattina il sorriso si accende, gli occhi si illuminano....vado a lavorare. Sì perché il mestiere della maestra permette di entrare nel mondo fantastico dei bambini. E' meraviglioso condividere con loro gioie, emozioni, debolezze e, perché no, anche paure. Per ogni bambino sei un punto di riferimento fondamentale e lo dimostrano sempre attraverso un abbraccio, un pensiero o un disegno: "Maestra questo è per te". Definirei il nostro mestiere una missione che ha come obiettivo il bene del bambino: educazione, formazione, preparazione.....

                                                                                     Maria Rosaria Chielli

Libro: "Cattivi maestri"

Da Massimiliano Morescalchi, autore del libro e maestro di Livorno.

Buonasera,
spero di fare cosa gradita nel rivolgervi un invito alla lettura del libro "Cattivi maestri" uscito da poco in formato e-book. Lo potete trovare sul sito www.prosperoeditore.com o su Amazon.

Dalla quarta di copertina :


"La Scuola deve istruire.

La Scuola deve educare.

La Scuola deve proteggere.

La Scuola ha deciso che per farlo deve cominciare a fare pulizia. Deve soppesare e giudicare, e coloro che saranno trovati mancanti...

Costantemente in bilico tra realtà e immaginazione, raccontato attraverso gli occhi di due narratori, il protagonista e un narratore esterno che si alternano, il libro ci porta all'interno di una scuola elementare uguale a tante altre. Gli eventi straordinari che vi si verificheranno, sono il veicolo che l'autore utilizza per dichiarare il suo amore per il suo lavoro e gridare la sua richiesta di aiuto. Perché la scuola non è morta, come dice disperato il protagonista del libro, ma non sta neanche molto bene."


lunedì 13 gennaio 2014

Per riflettere, per dibattere: scarse occasioni di confronto

Le maestre Giovanna e Gisella inviano questi spunti di riflessione , noi speriamo che in merito possa aprirsi un dibattito. Vi invitiamo a partecipare commentando. Grazie.

Riprendiamo dalla narrazione di Paola Massaro (che trovate qui) le ultime righe perché raccontano di un disagio che negli ultimi anni ha condizionato e condiziona le relazioni tra colleghe all’interno della scuola:

 “Stare con le altre maestre delle classi in cui lavoro, confrontarmi ogni giorno o ogni settimana era per questo salutare. Con i cambiamenti degli ultimi anni, questa possibilità di riflessione e interrogazione mi è resa sempre più difficile nella quotidianità. La ricerco altrove, come accade qui con voi, fra noi.”
 
Abbiamo purtroppo assistito a una continua erosione dei tempi e degli spazi destinati alla progettazione, alla riflessione, allo scambio e al confronto tra docenti; le riforme e i pesanti tagli subiti dalla scuola elementare hanno falcidiato il tempo pieno originando una serie di orari ibridi (spezzatini) all’interno dei quali le maestre non hanno più l’occasione di lavorare gomito a gomito.
Lavorare gomito a gomito, come nelle compresenze, non è uno spreco ma un’opportunità fondamentale di conoscere e conoscersi e quindi di crescita culturale, professionale e relazionale.

Che questo sia un malessere diffuso è testimoniato dai racconti spontanei di molte maestre allo sbaraglio: 

 "Per la povera scuola pubblica diventata solo occasione di risparmio dissennato, per le idee che si confondono, per i diritti dimenticati, per noi che ci richiudiamo in noi stessi e ci guardiamo lontani e diffidenti. Perché non c’è più tempo per il confronto... ma dove sarà mai andato tutto il tempo?"

 Da “Il paese sbagliato” di Laura Lupo, pag 341

  "Avverto, ora, la mancanza di solidarietà, di aggregazione; non si ha quasi tempo per un saluto. Frenetici, simultanei e vorticosi sono il cambio docente o il cambio classe. Al termine della lezione si lascia una breve consegna scritta alla collega che ci sostituisce nell’ora successiva per avvertirla di cose, sempre importanti, inerenti agli alunni. Alunni che,  soprattutto nel primo ciclo, chiedono: “Chi c’è dopo? Fino a quando?”.  Ritengo che soprattutto i bambini piccoli, abbiano bisogno di tempi adatti alla loro capacità d’attenzione, ai loro ritmi e che spesso forniamo troppi concetti, di cui pochi sono trattenuti, rischiando di ottenere una scuola a tempo vuoto.
Mancano le compresenze in cui il lavoro era predisposto dalle insegnanti di classe o di team, promuovendo un vero processo formativo, secondo le varie esigenze degli alunni."

Da “Scuola a tempo vuoto” di Maria Cristina Vella, pag 208
 
"La cosa più bella della scuola: la collaborazione, lo scambio coi colleghi… Credo che sia questo che da alcuni anni manca ormai nella scuola soprattutto con le insegnanti più giovani, ma anche con tante altre colleghe, il confronto, lo scambio giornaliero di un consiglio, una mano da chiedere all’altro, ma soprattutto l’umiltà di accettare un consiglio, un’indicazione per poter affrontare più serenamente un lavoro che da alcuni anni è diventato sempre più difficile." 

Da “La cosa più bella della scuola", di Rita Masseroni, pag 314

"Lì, in mio soccorso, dovevano esserci le colleghe che, nelle ore di compresenza (per me importantissime e indispensabili ….). Con il loro esempio e il loro modo di agire, diventavano per me un modello da seguire.
INSIEME siamo riuscite ad arginare diverse situazioni problematiche e solo così, finalmente, anch’io mi sono sentita parte del TEAM."

Da “In buona compagnia!” di Margherita Quaglia, pag 310
 
Questi sono solo alcuni “assaggi” presenti nel nostro libro, ma siamo sicure che su questo argomento si possano aggiungere nuove e numerose  voci che saremo felici di ospitare qui sul nostro blog. 

                                                                            Giovanna e Gisella
 

martedì 7 gennaio 2014

Spazio per scrivere ... ancora ...: CONTRIBUTO N°1

Pubblichiamo il primo contributo arrivato da Milano.
Un grazie alle maestre che lo hanno ideato, tra le quali siamo felici di ospitare Maria Cristina Mecenero, sceneggiatrice del film - documentario:
"L'amore che non scordo - Storie di comuni maestre".

Vi scriviamo grate di questo spazio che avete inaugurato. Vogliamo dare il via alla nostra partecipazione al blog e lo facciamo in tre mosse: ci presentiamo, vi informiamo di una iniziativa, vi inviamo una narrazione.
 
Ci presentiamo

Siamo un gruppo di maestre della scuola pubblica italiana. Da novembre 2010 ci stiamo incontrando a Bologna, provenendo da varie città. Ci siamo chiamate Maestre in ricerca e in movimento, è così infatti che ci sentiamo. Siamo partite dalle necessità di darci forza reciprocamente. E dal desiderio di tirare fuori luce e un senso più grande in ciò che facciamo a scuola, con bambine e bambini. Proprio ora, in questi tempi. Per certi versi sotto le macerie e tra la polvere di ciò che rimane della scuola pubblica italiana.

Nella nostra impresa cerchiamo di investire ciò che c’è di speranza, sogno, desiderio.

Rimanere radicate all’essenziale grazie ad altre maestre e a chi sceglie di stare con intelligenza e sensibilità vicino all’infanzia: questo è il nostro intento e abbiamo trovato nel vostro libro, Maestre allo sbaraglio, più di un filo di continuità.
 
Vi informiamo di un’iniziativa

A Milano alcune di noi si stanno ritrovando con altre/altri per organizzare un incontro nazionale sull’essere donne e uomini in educazione (a scuola, oppure in università, in associazioni che si occupano di formazione) in questo momento nel nostro paese. Per comprendere e mettere sempre più in circolo la libertà femminile, il suo manifestarsi nelle più piccole, nelle adolescenti, in noi che insegniamo; per riconoscere le nuove modalità relazionali tra maschi e femmine; per portare alla luce il cambiamento maschile e ciò che già si fa nella direzione di scambi creativi, anche conflittuali, che consentono di cambiare in meglio le condizioni del vivere insieme.

Lavoriamo intorno a tre nuclei:

·         madri-padri, come stanno cambiando nella loro relazione con i figli e le figlie e la scuola, perché la libertà femminile e il cambiamento maschile è in atto.

·         La nostra libertà e la nostra forza di donne in gioco nella scuola: bisogna a questo punto che sia una consapevolezza più radicale a guidarci ed è necessario destrutturare evidenti stereotipi del maschile e del femminile che ancora persistono. Anche portando nelle aule con fierezza e convinzione i prodotti culturali delle donne, attraverso poete, artiste, letterate che conosciamo e amiamo.

·         La connessione con la ricerca di altre/i verso un sapere necessario per una buona vita: un sapere relazionale, rispettoso dei legami con gli esseri umani e con la terra.

Associazioni, gruppi spontanei, movimenti di libere cittadine e cittadini sono alla ricerca di nuovi modi di vivere e sperimentare la convivenza: tenere la scuola, l’infanzia e chi insegna, in questo orizzonte più grande, dà forza, slancio e respiro.

L’incontro sarà organizzato SABATO 12 aprile 2014 (ore 9.30-13.00; 14.30-18.30), DOMENICA 13 APRILE (ore 9.30-13.00).

Si svolgerà a Verona, il sabato all’università, la domenica mattina in un’altra sede non ancora definita (dovrebbe essere sant’Eufemia).

Il titolo provvisorio: Sono cambiate molte cose. Cosa ci fa vivere bene a scuola o in educazione? Donne e uomini in ricerca raccontano e si confrontano. 

Una narrazione

Vi inviamo uno dei racconti scritti in questi anni da alcune di noi. Altri ne seguiranno.

Come maestre in ricerca e in movimento mettiamo al centro le narrazioni per “vedere” la realtà in cui siamo immerse, per praticare il discernimento e comprendere in che direzioni spingono vissuti, esperienze, abitudini, certi approcci verso l’infanzia (per esempio, quello dei disturbi specifici di apprendimento, o dei test Invalsi, l’uso dei voti, il registro on-line). Raccontiamo, ragioniamo, scriviamo. E’ altamente liberante, autorizzante, sostenente.

Narriamo per potenziare le nostre consapevolezze, anche facendo chiarezza dei nostri credo, e mettendo a fuoco l’influenza dell’organizzazione sulla qualità delle esperienze educative; e per reinventarci e scegliere, il più possibile in libertà, le pratiche di insegnamento/apprendimento e le modalità e le forme dello scambio con le bambine, i bambini, le loro madri e i loro padri, con le colleghe/i colleghi, con le/i dirigenti.

Libertà, reciprocità e felicità sono parole da cui ci facciamo guidare, insieme alla congiunzione e: dentro e fuori, bene e male, contentezza e depressione, senso di fallimento e ricerca di altro, terra e cielo.


Viva le reti, le convergenze, e il momento presente!

 
Maria Cristina Mecenero e Clara Bianchi

  
Sentire l’aria (narrazione di Paola Massaro, gennaio 2011)

In questo periodo, i giorni in cui incontro le bambine e i bambini sono una specie di pausa dentro un tempo di insensatezza. So bene che questo può essere rischioso, portandomi a vivere il rapporto con loro come una specie di cura per la malattia e il disagio che sento dentro e tutto intorno (battendo la tastiera è uscita la parola INTERNO al posto di INTORNO, che esistano anche i lapsus di scrittura?): un viaggio verso un’isola verde.  E io non voglio fare la vampira delle energie che bambini e bambine mi offrono.
 

Momenti di ben-essere

(felicità resta una parola con cui faccio fatica a rapportarmi e non è l’unica)

 
Eliza è una bambina nata in Macedonia, arrivata in Italia qualche anno fa, che ha frequentato una parte della scuola dell’infanzia. E’ minuta, carina; arriva a scuola di corsa, perché è una dei pochi che viene a piedi. E’ già questo me la fa apprezzare. Il suo sguardo schivo rivela la timidezza; il sorriso pronto la voglia di comunicare. 

Sento che il mio rapporto con Eliza sta prendendo forza, che passa tra noi due una fiducia reciproca che ci fa osare: lei si butta nel lavoro accettando di sbagliare, prova e riprova con tenacia. La stessa che mette nel restare con la mano alzata per aspettare il turno di parola, senza desistere davanti alle risposte articolate dei compagni e delle compagne italiane, che raccontano di una vita decisamente più piena della sua come incontri, oggetti, viaggi……. Non molla, ci prova.

Io che le affido incarichi: ho cominciato mandandola dalle bidelle per varie richieste il primo anno quando era sempre silenziosa, fino ad oggi, quando le chiedo di parlare a nome della classe in certe occasioni, o di coordinare un gruppo di lavoro e rendere conto. Io che le chiedo di dire al compagno le proprie ragioni, mentre mi guarda seria.

E lei accoglie, senza fretta, comunque, si cimenta; sento che le mie aspettative le fanno bene e che stiamo imparando l’una dall’altra.

Questa bambina con la sua fiducia e disponibilità ad accogliere le mie proposte, anche quando le risultano complesse e strane - vedo la sua espressione preoccupata oppure mi chiede altre spiegazioni (ora dal banco, prima veniva alla cattedra) - mi porta a cercare consegne di lavoro e mediazioni che siano aderenti alla vita, che abbiano un senso vero.

Credo di avere scoperto la sua forza il giorno che mi si è avvicinata, mentre chiamavo i bambini di altra lingua madre che dovevano andare con l’assistente linguistica per curare il loro italiano, e a bassa voce mi ha chiesto accorata: “Maestra manda anche me perché io non capisco tanto”. Le ho risposto: “No tu resti con me, io so che sai fare...”. Ha sorriso ed è tornata al posto.
 

Provo ben-essere quando bambini e bambine sono così presi dalla situazione di confronto e di esperienza che si è creata che procedono con la velocità e l’energia del gioco nelle loro scoperte, sollecitandosi a vicenda; allora gli scambi sembrano una palla che passa da una mano all’altra.

Capita spesso con le parole nuove: come le conquistano, facendole proprie.

L’altro giorno da una storia si è spinta in fuori la parola diroccato, riferita ad un ponte: cosa vuol dire? chiede qualcuno. Ecco pronta una risposta: che è un rottame. Lancio delle precisazioni, allora qualcun altro propone: taroccato. Avverto che ancora non ci siamo e mi avvio a spiegare, quando mi anticipa Alassane (è nato in Italia, da genitori del Senegal), che ha una vera passione per le parole nuove e le usa con gran ricchezza: “Ah, ho capito come le arance tarocco…” e così il nostro scambio continua fra il serio e il divertito. Quando chiedo proponendo un nuovo termine se lo conoscono o cosa ipotizzano significhi, cominciano - merito di Maria la mia collega che è ora in pensione, ma è stata con loro per una parte della classe prima - ad analizzare la parola, a scomporla, a cercarne i parenti…… Colgo che stanno entrando nei meccanismi linguistici e di creazione e questo mi piace, tanto più che ho davanti molti bambini e bambine di lingua madre differente.

Situazioni simili, avvengono anche durante le attività di storia o geografia; in varie occasioni la mia lezione ha preso una piega imprevista, aprendo nuove possibilità di lavoro per me come per loro. Quando questo accade io mi sento davvero bene, il tempo vola, trovo idee per proseguire dalla sollecitazione ricevuta e cambiare la programmazione. Questo stato diventa evidente, anche ai bambini e alle bambine stesse; per esempio, un giorno, Albin (è un bambino albanese più grande degli altri, inserito in classe lo scorso anno) lo ha colto: “Maestra sei contenta”.

Ma si nota anche perché si forma una sorta di effervescenza in classe, per cui i bambini si muovono, scambiano fra loro commenti, volano risate...Si respira una diversa aria, da formicaio.

Lo ha rilevato, con un certo stupore positivo, anche la collega di sostegno che segue Mohammed e il venerdì resta con noi durante l’attività di geografia: sulle rappresentazioni dello spazio, i punti di vista e di riferimento che stavo trattando, bambini e bambine sono intervenuti numerosi con domande e osservazioni, legate alle loro esperienze; “Ti piace proprio che i bambini ti propongano le loro idee…” ha commentato.

Questi non sono, lo so bene, eventi straordinari e so anche che in altre giornate molto va storto; però sono mattoni, momenti a cui posso riferirmi, a cui tutti - io e bambini e bambine - possiamo riferirci perché li abbiamo condivisi e ci hanno creato agio.
 

Quando ho cominciato ad insegnare come supplente - un sacco di anni fa - ciò che immediatamente mi entusiasmò e interessò furono le domande dei bambini e delle bambine (nel mio ricordo loro erano meno attive in questo senso), che mi aprivano una finestra sulle loro elaborazioni, gli aggiustamenti personali che producevano per darsi spiegazioni, per capire il mondo. Da alcuni anni con dispiacere mi sono accorta che questa non è più una propensione per la maggior parte di bambini e bambine: quando arrivano alla scuola primaria sembrano già appagati e pieni. Così ho cominciato a considerare un obiettivo vero e non da registro quello di abituarli a farmi domande/a farle alla classe/ al singolo compagno/a, affinché imparino a interrogarsi. Non faccio grandi cose, non è necessario, per fortuna, perché liberato un tempo quotidiano da dedicare a questa forma di pensiero, dando il buon esempio e cominciando a far entrare aria fra e troppe informazioni, immagini, risposte anticipate… bambini e bambine hanno ricominciato a domandare. All’inizio mi domandavano senza aspettare poi di fatto la risposta, mia o di altri compagni, ora le domande esprimono un interesse vero, una ricerca di comprensione.

Domande come segno di partecipazione e presenza: sorrido quando Albin o Marco, alzando la mano, mi avvisano che: “Devo dire due domande……” intendendo dire, dammi tempo.

Domande come nuovo gioco tra me e la classe, ma anche dei bambini/e tra loro: ha cominciato Giovanni: “Maestra mi sa che a questa domanda non sai rispondere……Questa è difficile!”

Domande come segno di interesse verso gli altri e le altre: quando nel cerchio mentre un compagno sta raccontando una propria esperienza spesso qualche altro chiede di poter capire meglio e dunque di fare una domanda.

Stanno così imparando anche a rispondere.
 
I momenti di ben-essere con i bambini e le bambine sono come lievito per la nostra relazione; si crea armonia, una situazione in cui riesco ad avvicinarmi maggiormente al gruppo e ai singoli, conoscendoli, anche conoscendomi un po’ di più.

Mi chiedo come fare in modo che non siano solo un appagamento emotivo, in cui ci si sente forti e diventino invece occasioni per insegnare meglio, per trovare forme di proposta rispettose di ogni bambino e bambina, ma anche capaci di spingerli più avanti nella conoscenza di sé, degli altri e del mondo, per dare loro strumenti di rappresentazione, interpretazione ed azione.

Come dire: quale posizione devo assumere per essere utile, come maestra; quali necessari confini di azione e nella guida devo darmi, per non passare dal ben-essere al senso di onni-potenza?

Stare con le altre maestre delle classi in cui lavoro, confrontarmi ogni giorno o ogni settimana era per questo salutare. Con i cambiamenti degli ultimi anni, questa possibilità di riflessione e interrogazione mi è resa sempre più difficile nella quotidianità. La ricerco altrove, come accade qui con voi, fra noi.
 

sabato 4 gennaio 2014

"L'amore che non scordo - Storie di comuni maestre"



Desideriamo segnalarvi questo film - documentario uscito nel 2008 :

"L'amore che non scordo - Storie di comuni maestre", regia di Daniela Ughetta e Manuela Vigorita, scritto con Vita Cosentino e Maria Cristina Mecenero.

Luisa Muraro, filosofa:

 "C'è tanto da indagare ancora, da inventare e da innovare in questo mondo, ma oggi finalmente abbiamo capito che niente sarà veramente guadagnato, se non avremo imparato a riconoscere, rispettare e custodire quello che di buono già esiste. C’è tanto da criticare e da cambiare in Italia, nella vita politica come nel resto. Ma niente della nostra rivolta servirà a niente, se non avremo imparato a riconoscere e a traghettare verso il futuro quelle cose che sono fatte bene, vanno bene e ci fanno onore."

Francesca Comencini, regista :

"Un documentario che a passi di colomba ci parla di cose immense."

"In un’epoca in cui tutto sembra dettato dalle immagini, in cui i bambini sembrano intrattenere un rapporto esclusivo e ossessivo solo con vari tipi di schermi, dai computer, alle playstation, dalle televisioni ai gameboy, scopriamo invece la loro naturale e magica inclinazione alle parole. Parole lette, parole scritte, parole dette".

giovedì 2 gennaio 2014

Spazio per scrivere ... ancora ...

Ci piacerebbe allargare il gruppo delle Maestre allo sbaraglio, se vuoi puoi aderire anche tu.
Hai un aneddoto, un'esperienza o un racconto da condividere?
Scrivilo, invialo tramite email all'indirizzo maestreallosbaraglio@gmail.com 
Lo vedrai pubblicato!
In seguito i contributi pervenuti verranno archiviati e tramite il link "SPAZIO PER SCRIVERE ... ANCORA ..." saranno sempre disponibili alla lettura.

Contributo N°1

Vi scriviamo grate di questo spazio che avete inaugurato. Vogliamo dare il via alla nostra partecipazione al blog e lo facciamo in tre mosse: ci presentiamo, vi informiamo di una iniziativa, vi inviamo una narrazione.
 
Ci presentiamo

Siamo un gruppo di maestre della scuola pubblica italiana. Da novembre 2010 ci stiamo incontrando a Bologna, provenendo da varie città. Ci siamo chiamate Maestre in ricerca e in movimento, è così infatti che ci sentiamo. Siamo partite dalle necessità di darci forza reciprocamente. E dal desiderio di tirare fuori luce e un senso più grande in ciò che facciamo a scuola, con bambine e bambini. Proprio ora, in questi tempi. Per certi versi sotto le macerie e tra la polvere di ciò che rimane della scuola pubblica italiana.

Nella nostra impresa cerchiamo di investire ciò che c’è di speranza, sogno, desiderio.

Rimanere radicate all’essenziale grazie ad altre maestre e a chi sceglie di stare con intelligenza e sensibilità vicino all’infanzia: questo è il nostro intento e abbiamo trovato nel vostro libro, Maestre allo sbaraglio, più di un filo di continuità.
 
Vi informiamo di un’iniziativa

A Milano alcune di noi si stanno ritrovando con altre/altri per organizzare un incontro nazionale sull’essere donne e uomini in educazione (a scuola, oppure in università, in associazioni che si occupano di formazione) in questo momento nel nostro paese. Per comprendere e mettere sempre più in circolo la libertà femminile, il suo manifestarsi nelle più piccole, nelle adolescenti, in noi che insegniamo; per riconoscere le nuove modalità relazionali tra maschi e femmine; per portare alla luce il cambiamento maschile e ciò che già si fa nella direzione di scambi creativi, anche conflittuali, che consentono di cambiare in meglio le condizioni del vivere insieme.

Lavoriamo intorno a tre nuclei:

·         madri-padri, come stanno cambiando nella loro relazione con i figli e le figlie e la scuola, perché la libertà femminile e il cambiamento maschile è in atto.

·         La nostra libertà e la nostra forza di donne in gioco nella scuola: bisogna a questo punto che sia una consapevolezza più radicale a guidarci ed è necessario destrutturare evidenti stereotipi del maschile e del femminile che ancora persistono. Anche portando nelle aule con fierezza e convinzione i prodotti culturali delle donne, attraverso poete, artiste, letterate che conosciamo e amiamo.

·         La connessione con la ricerca di altre/i verso un sapere necessario per una buona vita: un sapere relazionale, rispettoso dei legami con gli esseri umani e con la terra.

Associazioni, gruppi spontanei, movimenti di libere cittadine e cittadini sono alla ricerca di nuovi modi di vivere e sperimentare la convivenza: tenere la scuola, l’infanzia e chi insegna, in questo orizzonte più grande, dà forza, slancio e respiro.

L’incontro sarà organizzato SABATO 12 aprile 2014 (ore 9.30-13.00; 14.30-18.30), DOMENICA 13 APRILE (ore 9.30-13.00).

Si svolgerà a Verona, il sabato all’università, la domenica mattina in un’altra sede non ancora definita (dovrebbe essere sant’Eufemia).

Il titolo provvisorio: Sono cambiate molte cose. Cosa ci fa vivere bene a scuola o in educazione? Donne e uomini in ricerca raccontano e si confrontano. 

Una narrazione

Vi inviamo uno dei racconti scritti in questi anni da alcune di noi. Altri ne seguiranno.

Come maestre in ricerca e in movimento mettiamo al centro le narrazioni per “vedere” la realtà in cui siamo immerse, per praticare il discernimento e comprendere in che direzioni spingono vissuti, esperienze, abitudini, certi approcci verso l’infanzia (per esempio, quello dei disturbi specifici di apprendimento, o dei test Invalsi, l’uso dei voti, il registro on-line). Raccontiamo, ragioniamo, scriviamo. E’ altamente liberante, autorizzante, sostenente.

Narriamo per potenziare le nostre consapevolezze, anche facendo chiarezza dei nostri credo, e mettendo a fuoco l’influenza dell’organizzazione sulla qualità delle esperienze educative; e per reinventarci e scegliere, il più possibile in libertà, le pratiche di insegnamento/apprendimento e le modalità e le forme dello scambio con le bambine, i bambini, le loro madri e i loro padri, con le colleghe/i colleghi, con le/i dirigenti.

Libertà, reciprocità e felicità sono parole da cui ci facciamo guidare, insieme alla congiunzione e: dentro e fuori, bene e male, contentezza e depressione, senso di fallimento e ricerca di altro, terra e cielo.


Viva le reti, le convergenze, e il momento presente!

 
Maria Cristina Mecenero e Clara Bianchi

  
Sentire l’aria (narrazione di Paola Massaro, gennaio 2011)

In questo periodo, i giorni in cui incontro le bambine e i bambini sono una specie di pausa dentro un tempo di insensatezza. So bene che questo può essere rischioso, portandomi a vivere il rapporto con loro come una specie di cura per la malattia e il disagio che sento dentro e tutto intorno (battendo la tastiera è uscita la parola INTERNO al posto di INTORNO, che esistano anche i lapsus di scrittura?): un viaggio verso un’isola verde.  E io non voglio fare la vampira delle energie che bambini e bambine mi offrono.
 

Momenti di ben-essere

(felicità resta una parola con cui faccio fatica a rapportarmi e non è l’unica)

 
Eliza è una bambina nata in Macedonia, arrivata in Italia qualche anno fa, che ha frequentato una parte della scuola dell’infanzia. E’ minuta, carina; arriva a scuola di corsa, perché è una dei pochi che viene a piedi. E’ già questo me la fa apprezzare. Il suo sguardo schivo rivela la timidezza; il sorriso pronto la voglia di comunicare. 

Sento che il mio rapporto con Eliza sta prendendo forza, che passa tra noi due una fiducia reciproca che ci fa osare: lei si butta nel lavoro accettando di sbagliare, prova e riprova con tenacia. La stessa che mette nel restare con la mano alzata per aspettare il turno di parola, senza desistere davanti alle risposte articolate dei compagni e delle compagne italiane, che raccontano di una vita decisamente più piena della sua come incontri, oggetti, viaggi……. Non molla, ci prova.

Io che le affido incarichi: ho cominciato mandandola dalle bidelle per varie richieste il primo anno quando era sempre silenziosa, fino ad oggi, quando le chiedo di parlare a nome della classe in certe occasioni, o di coordinare un gruppo di lavoro e rendere conto. Io che le chiedo di dire al compagno le proprie ragioni, mentre mi guarda seria.

E lei accoglie, senza fretta, comunque, si cimenta; sento che le mie aspettative le fanno bene e che stiamo imparando l’una dall’altra.

Questa bambina con la sua fiducia e disponibilità ad accogliere le mie proposte, anche quando le risultano complesse e strane - vedo la sua espressione preoccupata oppure mi chiede altre spiegazioni (ora dal banco, prima veniva alla cattedra) - mi porta a cercare consegne di lavoro e mediazioni che siano aderenti alla vita, che abbiano un senso vero.

Credo di avere scoperto la sua forza il giorno che mi si è avvicinata, mentre chiamavo i bambini di altra lingua madre che dovevano andare con l’assistente linguistica per curare il loro italiano, e a bassa voce mi ha chiesto accorata: “Maestra manda anche me perché io non capisco tanto”. Le ho risposto: “No tu resti con me, io so che sai fare...”. Ha sorriso ed è tornata al posto.
 

Provo ben-essere quando bambini e bambine sono così presi dalla situazione di confronto e di esperienza che si è creata che procedono con la velocità e l’energia del gioco nelle loro scoperte, sollecitandosi a vicenda; allora gli scambi sembrano una palla che passa da una mano all’altra.

Capita spesso con le parole nuove: come le conquistano, facendole proprie.

L’altro giorno da una storia si è spinta in fuori la parola diroccato, riferita ad un ponte: cosa vuol dire? chiede qualcuno. Ecco pronta una risposta: che è un rottame. Lancio delle precisazioni, allora qualcun altro propone: taroccato. Avverto che ancora non ci siamo e mi avvio a spiegare, quando mi anticipa Alassane (è nato in Italia, da genitori del Senegal), che ha una vera passione per le parole nuove e le usa con gran ricchezza: “Ah, ho capito come le arance tarocco…” e così il nostro scambio continua fra il serio e il divertito. Quando chiedo proponendo un nuovo termine se lo conoscono o cosa ipotizzano significhi, cominciano - merito di Maria la mia collega che è ora in pensione, ma è stata con loro per una parte della classe prima - ad analizzare la parola, a scomporla, a cercarne i parenti…… Colgo che stanno entrando nei meccanismi linguistici e di creazione e questo mi piace, tanto più che ho davanti molti bambini e bambine di lingua madre differente.

Situazioni simili, avvengono anche durante le attività di storia o geografia; in varie occasioni la mia lezione ha preso una piega imprevista, aprendo nuove possibilità di lavoro per me come per loro. Quando questo accade io mi sento davvero bene, il tempo vola, trovo idee per proseguire dalla sollecitazione ricevuta e cambiare la programmazione. Questo stato diventa evidente, anche ai bambini e alle bambine stesse; per esempio, un giorno, Albin (è un bambino albanese più grande degli altri, inserito in classe lo scorso anno) lo ha colto: “Maestra sei contenta”.

Ma si nota anche perché si forma una sorta di effervescenza in classe, per cui i bambini si muovono, scambiano fra loro commenti, volano risate...Si respira una diversa aria, da formicaio.

Lo ha rilevato, con un certo stupore positivo, anche la collega di sostegno che segue Mohammed e il venerdì resta con noi durante l’attività di geografia: sulle rappresentazioni dello spazio, i punti di vista e di riferimento che stavo trattando, bambini e bambine sono intervenuti numerosi con domande e osservazioni, legate alle loro esperienze; “Ti piace proprio che i bambini ti propongano le loro idee…” ha commentato.

Questi non sono, lo so bene, eventi straordinari e so anche che in altre giornate molto va storto; però sono mattoni, momenti a cui posso riferirmi, a cui tutti - io e bambini e bambine - possiamo riferirci perché li abbiamo condivisi e ci hanno creato agio.
 

Quando ho cominciato ad insegnare come supplente - un sacco di anni fa - ciò che immediatamente mi entusiasmò e interessò furono le domande dei bambini e delle bambine (nel mio ricordo loro erano meno attive in questo senso), che mi aprivano una finestra sulle loro elaborazioni, gli aggiustamenti personali che producevano per darsi spiegazioni, per capire il mondo. Da alcuni anni con dispiacere mi sono accorta che questa non è più una propensione per la maggior parte di bambini e bambine: quando arrivano alla scuola primaria sembrano già appagati e pieni. Così ho cominciato a considerare un obiettivo vero e non da registro quello di abituarli a farmi domande/a farle alla classe/ al singolo compagno/a, affinché imparino a interrogarsi. Non faccio grandi cose, non è necessario, per fortuna, perché liberato un tempo quotidiano da dedicare a questa forma di pensiero, dando il buon esempio e cominciando a far entrare aria fra e troppe informazioni, immagini, risposte anticipate… bambini e bambine hanno ricominciato a domandare. All’inizio mi domandavano senza aspettare poi di fatto la risposta, mia o di altri compagni, ora le domande esprimono un interesse vero, una ricerca di comprensione.

Domande come segno di partecipazione e presenza: sorrido quando Albin o Marco, alzando la mano, mi avvisano che: “Devo dire due domande……” intendendo dire, dammi tempo.

Domande come nuovo gioco tra me e la classe, ma anche dei bambini/e tra loro: ha cominciato Giovanni: “Maestra mi sa che a questa domanda non sai rispondere……Questa è difficile!”

Domande come segno di interesse verso gli altri e le altre: quando nel cerchio mentre un compagno sta raccontando una propria esperienza spesso qualche altro chiede di poter capire meglio e dunque di fare una domanda.

Stanno così imparando anche a rispondere.
 
I momenti di ben-essere con i bambini e le bambine sono come lievito per la nostra relazione; si crea armonia, una situazione in cui riesco ad avvicinarmi maggiormente al gruppo e ai singoli, conoscendoli, anche conoscendomi un po’ di più.

Mi chiedo come fare in modo che non siano solo un appagamento emotivo, in cui ci si sente forti e diventino invece occasioni per insegnare meglio, per trovare forme di proposta rispettose di ogni bambino e bambina, ma anche capaci di spingerli più avanti nella conoscenza di sé, degli altri e del mondo, per dare loro strumenti di rappresentazione, interpretazione ed azione.

Come dire: quale posizione devo assumere per essere utile, come maestra; quali necessari confini di azione e nella guida devo darmi, per non passare dal ben-essere al senso di onni-potenza?

Stare con le altre maestre delle classi in cui lavoro, confrontarmi ogni giorno o ogni settimana era per questo salutare. Con i cambiamenti degli ultimi anni, questa possibilità di riflessione e interrogazione mi è resa sempre più difficile nella quotidianità. La ricerco altrove, come accade qui con voi, fra noi.

Contributo N°2

Breve pensiero per Maestre allo sbaraglio

Ogni mattina il sorriso si accende, gli occhi si illuminano....vado a lavorare. Sì perché il mestiere della maestra permette di entrare nel mondo fantastico dei bambini. E' meraviglioso condividere con loro gioie, emozioni, debolezze e, perché no, anche paure. Per ogni bambino sei un punto di riferimento fondamentale e lo dimostrano sempre attraverso un abbraccio, un pensiero o un disegno: "Maestra questo è per te". Definirei il nostro mestiere una missione che ha come obiettivo il bene del bambino: educazione, formazione, preparazione.....

                                                                                     Maria Rosaria Chielli


Contributo N°3

Chissà se la ministra...

Perché quando in televisione si parla di scuola, rimango sempre con l’amaro in bocca, con la sensazione sconfortante che nessuno ne conosca davvero la realtà?
 
Mi riferisco in particolare alla trasmissione di “Che tempo che fa?” dell’11 gennaio scorso: incontro con la ministra (da maestra fatico ad accettare i neologismi, ma forse quelli di genere hanno un senso..) Carrozza.

Tante osservazioni, anche giuste... ma possibile che il problema sia “il tempo pieno, realtà totale in Italia” (cit. da una domanda di Fazio alla ministra) e i compiti a casa?
 
Non è forse il contrario?

Non sono forse stati fatti tagli continui al tempo pieno... o noi viviamo una realtà parallela?

Non sono  forse altri i problemi, già più volte ribaditi, anche in questo blog?

·         La perdita continua di risorse,

·         l’eliminazione delle compresenze, con la possibilità di recupero di chi era in difficoltà  e di attività diverse e stimolanti,

·          la diminuzione della conoscenza e dell’attenzione data a tutte le bambine e i bambini, che era garantita dalle due insegnanti per classe e che via via scompare, sommersa da frammentazioni orarie assurde per la scuola primaria,

·         la gestione aziendale  e sempre più autoritaria delle nostre scuole, con la perdita progressiva del confronto, della ricerca, del dibattito,

·         le nuove tecnologie presentate come panacea per tutti i mali, ma che sono solo uno strumento (e tale devono rimanere);  strumento che tra l’altro diventa presto inutile, visto che se si rompe la lampada della LIM, ci vuole un anno intero per sostituirla... o che, se vogliamo usare il registro elettronico, dovremmo anche avere i soldi per una connessione che funzioni,

·         la mancanza di stima nei confronti dei docenti derivata spesso da cattiva informazione,

·         la delega delle famiglie che non possono (o non vogliono) più farsi carico del quotidiano supporto ai bambini; anche nei compiti (perché no?) che sì devono essere equilibrati, ma che hanno una loro funzione,

·         e forse ancora... il fatto che ai nostri bambini e bambine non chiediamo più le cose difficili e l’impegno e la fatica, che non li facciamo più crescere... o forse che li oberiamo di mille attività extrascolastiche non sempre necessarie, privandoli di un tempo “libero” davvero,

·         magari anche il fatto che il nostro (bellissimo) lavoro, sempre meno considerato socialmente, sempre più difficile e osteggiato e carico di responsabilità, sia diventato un lavoro ben poco ambito (anche perché mal pagato) e quindi sia talvolta scelto come ripiego....?
 
Potrei continuare, ma sento di diventare prolissa.

Sono solo domande, spunti di riflessione, che mi piacerebbe si allargassero anche al di là del nostro mondo di maestre sbaragliate.

Forse un libro come il nostro potrebbe aiutare a capire, chissà se la ministra lo leggerà!

                                                                                                       Laura Lupo

Contributo N°4

A 92 anni si è spento Mario Lodi,
ma è vivo in ognuno di noi, che siamo nati in un paese sbagliato ed abbiamo portato ciò che accadeva al VHO nelle nostre classi perchè ci fosse speranza... e con i suoi occhi guardiamo la scuola di oggi.

Mario Lodi è stato un maestro ed un intellettuale tra quelli che più hanno cambiato la scuola italiana degli anni '60. Nei suoi libri ha sempre parlato solo di quel che faceva con i suoi alunni.

Costretto, rivelava le sue fonti: Piaget, Freinet, Vygotskij, Ciari, Rodari. Ma la sua vera ispirazione era la Costituzione.

                                                                                                     Donata Pasteris
 
Contributo N°5
 

Care Maestre allo sbaraglio, come promesso vi invio il mio elaborato scritto durante l'attività del 3 Marzo. Ho voluto dirvi però qualcosa in più.
Ho consultato il vostro blog ed è veramente molto bello. Vi ringrazio ancora per tutto quello che fate e per come lo fate.
Buon lavoro!
A presto.

Una futura maestra, Francesca Galasso.



Giornata (ri)carica di emozioni.

Mi trovo nell’aula più affascinante della sede panoramica nel pieno centro di Matera della nostra università. L’aula è gremita: tanti sono i volti nuovi, tante le voci mai udite. Si accende la mia curiosità: voglio scoprire cosa rappresentano quelle immagini che scorrono sullo sfondo, chi sono queste “Maestre allo sbaraglio”!

Inizia un dialogo e neanche oggi si usa la cattedra: sarebbe un controsenso! Maestre e future maestre si mescolano (solo un futuro maestro!), sedute le une accanto alle altre e non c’è bisogno di divisioni! Siamo tutti bisognosi di parlare, parlare della Scuola: di noi!

Inizia così il viaggio alla scoperta di un libro che ci svela la Scuola viva.

Ascolto i racconti tratti dal capitolo Anche i maestri sono stati alunni e la mia mente comincia a vagare: indosso il grembiule profumato, metto la cartella di Barbie e corro in classe … Un’immagine mi appare nitida e vuole tuffarsi su di un foglio bianco per diventare racconto.

L’invito a scrivere sui nostri ricordi di scuola è come un invito a nozze in questo momento ed ecco che, da futura maestra che è stata alunna, scrivo … L’immagine si tuffa!
 
Una maestra colorata

L’immagine di una madre che si strappa gli occhi per il figlio mi appare ripensando alla mia esperienza elementare.

Cara maestra Rosa, il tuo nome colorato mi ha ingannato!

Le ore con lei erano spesso piene di racconti che avevano come protagonista la morte. La maestra “colorata” mi ha fatto conoscere ben presto i colori della sofferenza, della tristezza, delle tragedie.

Sarà forse per questo che un giorno, essendomi innamorata della sua eleganza e del suo foulard color rosa brillante, viola e pesca, le dissi:

<<Maestra, quando muori mi lasci questo foulard?>>

Mi ha segnato profondamente quel  racconto della madre che fa di tutto per suo figlio, anche rinunciare alla sua vita, e ha inconsciamente anticipato ciò che da lì a qualche anno mi avrebbe riservato la vita: prendermi cura incondizionatamente di mia madre, amarla come fa una madre.

Il mio nome non è un colore, tuttavia ora da futura maestra voglio presentarmi ai miei alunni COLORATA! Voglio dar loro occhiali magici per vedere il mondo con tutti i suoi colori e tutte le sfumature.

Scorrevano lacrime durante quelle ore tra i banchi immaginando le scene strazianti. I miei occhi da maestra vogliono vedere occhi luminosi, non bagnati; le mie orecchie da maestra vogliono sentire risate rumorose, non singhiozzi!

Cara maestra Rosa, il tuo nome mi aiuterà!

 

L’ho scritto di getto: le parole si tuffano veramente sul foglio. È sorprendente come la voglia di raccontare nasca improvvisamente!

Le emozioni si placano e poi si attivano ascoltando, vanno a mille leggendo, condividendo un ricordo, un’emozione ancora viva.

L’emozione si riaccende nel pomeriggio: l’incontro prosegue, lo scambio continua, il dialogo non si interrompe mai!

Torno a casa entusiasta con il libro in mano! Il bisogno di raccontare è presente e l’entusiasmo arriva lontano fino ai miei cari!

Il dialogo continua!

Grazie Maestre allo sbaraglio, mi avete ricaricato!

 

                                                                                                        Francesca Galasso
 
 Contributo N°6

CAMBIO SCUOLA=CAMBIO VITA ?

Per anni ho insegnato nella scuola del paese in cui abito. Salterellando tra tempi scuola diversi, affiancata da colleghe di varia età e accompagnando nella crescita tutti quegli adolescenti già troppo adulti che per strada ritrovo ora con stupore (possibile siano cresciuti già così tanto?!ma quanti anni sono passati??!)
Gli ultimi tempi sono stati difficili: gli insegnanti sempre meno, tante difficoltà e problemi organizzativi.
Mi guardavo intorno un po’ a disagio, per la prima volta pensavo di essere cambiata, e forse quello non era più il lavoro adatto a me.
Qualcuno intorno a me parlava di “ sindrome da burnout  istituzionale”;  era diventato difficile iniziare l’anno, cercavo di immaginarmi sotto una campana di vetro trasparente e di farmi scivolare addosso i problemi che tutti i giorni ci trovavamo ad affrontare le mie colleghe ed io. Tutte scontente. Tutte sopraffatte. Purtroppo lo stratagemma “campana” durava solo fino all’ inizio di novembre  …. quando arrivava puntualmente l’ultima notizia spiazzante, l’ultimo cambio di rotta e programma, le ultime novità mai positive …. come enormi nuvoloni neri sempre pronti a scaricarci addosso acqua e fulmini e tuoni ….
Così … decido! Ci provo! Me ne voglio andare! Voglio toccare con mano se è vero che “in tutte le scuole ormai l’aria che tira è la stessa”, "i tagli sono tagli dappertutto”, "non è sempre oro quello che luccica”… e via di seguito.
Certo, quando lo raccontavo a non-colleghe mi sentivo rispondere “Come, vai via dal paese in cui abiti?”, una scomodità!!
E poi … la notizia del trasferimento è arrivata pochi istanti prima che Anna mi portasse in classe il nostro libro! Un buon segno! La condivisione dei testi scritti mi aveva aiutata a sentirmi meno isolata, eravamo un gruppo, dopotutto!
E ancora, leggendo nel libro le testimonianze di colleghi che lavorano in altre scuole, con problemi anche più pressanti dei nostri, traspare una certa soddisfazione, un riconoscimento, una leggerezza pur nelle difficoltà dell’insegnamento quotidiano …  la maggior parte dei nostri contributi invece (tranne quelli dei ricordi) erano ben diversi!
Ebbene. Sono stata fortunata. Per tanti motivi.

Il clima qui è sereno, le novità ci sono ed anche i problemi, ma il modo di risolverli ci trova coinvolte e le decisioni prese, anche se difficili, le abbiamo scelte noi salvaguardando i bambini, prima di tutto.

Ci è data fiducia,e rispetto.
Ho ritrovato la voglia di insegnare.
E allora le mie domande rivolte alle colleghe che hanno o no vissuto la mia esperienza sono:

come può esserci tanta differenza tra due scuole che distano solo pochi chilometri?
Può essere così determinante la presenza di poche persone? La democrazia nella scuola c’è ancora? C’è mai stata veramente?

                                                                                           m.Alessandra

Contributo N°7

Care maestre, cari maestri (che avete gettato il cuore oltre l'ostacolo, anzi oltre lo sbaraglio) nel leggervi mi sono commossa e divertita, soprattutto mi sono rivista.

Io credo proprio di essere l'ultima maestra che ha condotto formalmente le esercitazioni didattiche all'Istituto Magistrale di Novara sia nei suoi corsi tradizionali che in quelli sperimentali. Ho cercato tutte le strade perché la didattica apparisse ai miei giovani allievi come una vera e propria teoria della cultura con radici nella riflessione filosofica e nelle competenze psico- pedagogiche, cercando di dimostrare nel contempo i processi didattici concreti e vivi, sempre in divenire, in quei meravigliosi laboratori che sono state per noi le scuole cittadine, materne ed elementari.

Personalmente ho iniziato la mia attività scolastica a Lumellogno con una classe numerosissima e con alcuni casi problematici alla fine degli anni Sessanta e lì ho cercato di elaborare al meglio gli stimoli che avevo ricevuto dalla frequentazione dell' M.C.E., dall'Università e dallo studio della Montessori che mi aveva molto incuriosito. In quegli anni capitava spesso a Lumellogno un maestro che io  non conoscevo e che insegnava alla Tommaseo del Villaggio Dalmazia. Si chiamava Antonio Bricco. Questo maestro aveva osservato il mio modo di fare scuola e di condurre il gruppo. Dopo qualche tempo decise di contattarmi per mettermi a parte di un suo progetto assolutamente sperimentale e innovativo di "Tempo pieno" al Villaggio, per cui servivano cinque insegnanti da affiancare ai cinque titolari già presenti.

Il Villaggio era un luogo affascinante e difficile, erano presenti tutti i disagi e le tensioni che le prime famiglie di profughi istriani e dalmati avevano portato con sé, cariche com'erano di paure, dolore, nostalgie e speranze. A scuola i bambini apparivano chiusi, sempre un po' tristi o ribelli. Bricco aveva deciso di ribaltare la situazione a partire dalla scuola. E davvero così prese forma un'esperienza educativa speciale, privilegiata.


Non voglio dilungarmi perché per illustrarla seriamente nei metodi e nei contenuti ci vorrebbe un piccolo trattato relativo solo ai primi cinque anni! Riporterò solo un commento del professor Accomazzi, noto matematico e astronomo novarese: "Questa scuola è un fiore all'occhiello per l'intera regione, peccato che sia un modello poco imitabile perché per farla ci vogliono fondi, competenze forti messe in comune e una dilatazione assoluta degli orari di scuola." Vero. Quante serate indimenticabili, protratte sino a tardi, a studiare il cielo stellato con i bambini e i loro genitori grazie al professor Accomazzi e al suo telescopio!  E non poche le serate al pianterreno di Casa Bossi da noi stessi risistemato per gli incontri culturali e didattici del nostro Centro Rousseau attivato da Bricco. E poi le "settimane bianche" di scuola sulla neve o quelle "verdi "durante la bella stagione nelle colonie comunali della Val Vigezzo, alternando le ore di lezione e di studio allo sport. Tutta la scuola in trasferta, compresi un po' di genitori. Tutti in autogestione. E poi la scuola sempre aperta alle visite e alle collaborazioni (dalle classi del nostro Liceo Artistico ai docenti stranieri) e aperta anche a tutte le problematiche del quartiere. Riporto un altro giudizio, del Sig. Elio, d'origine greca: "Io ho un'infinita gratitudine per questa scuola, perché ha mobilitato tutto il quartiere, tutti i residenti. Adesso c'è tanta vita, più socialità, idee nuove. Grazie a voi ho riscoperto tanti canti e poesie della mia terra."


Bene, ora tutto questo è scomparso. Fa parte del passato e per me è un po' doloroso.

Anche l'Istituto Magistrale come tale non esiste più. La Tommaseo come scuola elementare ha chiuso i battenti. Le famiglie dei rifugiati dalmati sono ormai modificate o trasferite. Sui campanelli delle case appaiono cognomi nuovi. Conservo per fortuna una carissima amicizia con le mie splendide colleghe, Grazia Di Filippo (che è andata poi ad insegnare alle Medie del Morandi e oggi, in pensione,  alfabetizza le donne straniere), Lina Cominone (ottantotto anni!) ed Ernesta Collevasone (in pensione da pochissimo). Ma il maestro Bricco non ha retto all'ictus che l'ha colpito e non è più con noi. A lui, politico romantico, amico brillante, maestro di scuola, lasciatemi dedicare questa piccolissima "ode" che ho scritto il giorno in cui la Tommaseo, prima di chiudere i battenti, ha compiuto 50anni.

  

Rose rosse per la scuola del Villaggio
 

Il padre gli disse un giorno che sarebbe andato a scuola

e gli avrebbe comprato un corredo di oggetti come a un

giovane sposo: zaino e penne, colori e matite e gomme,

testi di canzoni e di viaggi, pennelli e fotografie di città

e di deserti, grembiule professionale e scarpe alate ai piedi

che emettevano al suo breve passo, lampi di luce.

Avrebbe avuto maestri, li avrebbe lasciati, altri ne avrebbe

trovati e avrebbe scoperto nel tempo che gli allungava

le gambe e gli accorciava il grembiule, il sale che insaporiva

ogni calcolo esatto, perfetto; il cioccolato extra amaro

che sferzava la storia dell'uomo, il vino aromatico della

geografia della Terra, il pane da dividere con i compagni

di sentinella. Poi il bambino lasciò la scuola del Villaggio,

affrontò un'altra navigazione, sistemò nuovi gioielli

nel suo scrigno. Diventò grande e un giorno disse alla

sua bambina che sarebbe andata a scuola e le avrebbe

comprato un corredo di oggetti coma a una giovane sposa:

un grembiule con tasche capaci, comode scarpe nuove,

uno zaino fiorito, fogli a righe e fogli senza righe o quadretti

per costringere la sua intelligenza a orientarsi, e testi di scienze

e poesia. Là dove suo padre aveva rovesciato l'arca e scoperto

il codice semplice e altissimo - della scrittura e della lettura -

membro a sei anni della Società del Sapere, anche la bambina

imparò i segreti degli alfabeti e possedette i linguaggi per dire

chi era. Quanti altri bambini in processione sono passati

su per quelle scale. Quanti maestri, quante luci accese.

Quante Niccolò Tommaseo per la Regione, quante vigne

del Signore nel Paese. Ma qui è passato un maestro a tempo

pieno, Antonio Bricco si chiamava, ceranese, che aveva visto

questa scuola in sogno, l'aveva trasformata nella mente, le

aveva dato un cuore audace e una ragione, con vetrate trasparenti

al mondo esterno e un grande fuoco all'interno sempre vivo.

Come astronauti sulla luna, quanti bambini ci hanno piantato

una bandiera. Quanti maestri hanno coltivato rose, rose rosse

e custodito narrazioni. E oggi, al di là di una memoria che fa velo

ai processi già lontani di una dolce storia, poter dire:

Sì, signori, io c'ero! è la nostra gioia, la nostra umana vittoria.


Carissimi saluti

Maria Amalia Orsini

Contributo N°8

                                                                                          Novara, 1 Luglio 2014

 
Carissime/i,

                  eccoci di nuovo giunti alle tanto sospirate vacanze che vi auguro rigeneranti e piacevoli sotto ogni aspetto.

Per me sono sicuramente speciali poiché non avranno soluzione di continuità in quanto si trasformeranno in “cessazione dal servizio per dimissioni volontarie”. Detto più semplicemente: dal 1° settembre 2014 sarò in PENSIONE !!!

Sono trascorsi più di 41 anni da quel 1° ottobre quando misi piede per la prima volta in un’aula scolastica, con una classe quarta dove alcuni alunni erano più alti di me e le mamme mi guardavano con aria interrogativa domandandosi probabilmente se quella era davvero la maestra o una nuova alunna.

Da allora sono passati tanti anni, passati in un soffio, e ho sempre cercato di fare del mio meglio per crescere, nella mente e nel cuore, insieme ai bimbi che, di volta in volta, mi sono stati affidati.

La mia speranza è di essere riuscita a porre, nel fertile terreno della loro vita, qualche piccolo seme che, con impegno e serietà, possano aver fatto germogliare al meglio nel procedere del loro cammino.

Di tutti questi anni mi sono rimasti infiniti ricordi di persone e di luoghi, di tante amicizie sparse dalla Bassa all’Ossola, di molte gioie e qualche delusione.

E’ stato un lungo cammino, talvolta agevole, talvolta in salita, ma sempre ho trovato chi mi ha teso la mano, chi mi ha accompagnato passo dopo passo.

Non è mai stato un viaggio solitario.

Ho sempre avuto aiuto nei momenti difficili, conforto nei dolorosi, partecipazione nei felici.

Per questo ho molti da ringraziare e mi auguro di essere riuscita, almeno in parte, a ricambiarli allo stesso modo.

Ora che un importante capitolo della mia vita si conclude, voglio augurare a tutti coloro che restano nel complicato ma straordinario mondo della Scuola di trovare ogni giorno nuova forza, nuove motivazioni per continuare; con la consapevolezza che quello dell’insegnante non è un lavoro qualsiasi perché si ha nelle proprie mani la possibilità di forgiare le nuove generazioni, di preparare il FUTURO.

A noi che questo lavoro abbiamo lasciato auguro di trovare un cammino parallelo che ci dia emozioni e soddisfazioni altrettanto stimolanti.

E, come diceva Primo Levi, …. che l’autunno sia lungo e mite.

 

A tutti e a ciascuno buone vacanze e buona continuazione!

 
                                                                                          Sinceramente
 

                                                                                      Manuela Bozzetto
 
Contributo N°9
 
Ciao, Manuela (e ciao a tutti),         
         Manuela che non conosco, ma è come se avesse scritto anche per me.

Come te, vado in pensione dopo 41 anni.
Come te, porto con me la scuola.
Ho avuto la fortuna di fare per tanti anni un lavoro che mi piaceva, è un privilegio che non capita a tutti.
Ho avuto la fortuna di lavorare con persone preziose, neanche questo capita spesso.
E allora vi dico: credete nel vostro lavoro, mettetecela tutta, credete nei bambini; e quando avrete fatto tutto il vostro dovere, con senso di responsabilità e con passione, non lasciate che nessuno vi dica qual è il vostro mestiere, perché VOI lo sapete, VOI siete le esperte.

Grazie ancora a tutte/i coloro che mi hanno accompagnato su questa lunga strada.

Vi abbraccio

                                                                                                       Lalla

Contributo N°10

QUELLA STREGA DELLA MAESTRA D’ITALIANO

Se ripenso alla mia esperienza di alunna elementare subito rivedo davanti ai miei occhi la mia maestra di italiano, una maestra molto autoritaria, e per un istante rivivo quella sensazione di terrore che mai nessun’altro è stato in grado di suscitare in me. Era una vera strega!

Dava continue punizioni, che molto spesso erano inutili e insensate, e ogni tanto faceva “volare” qualche schiaffone che lasciava sulla guancia del mal capitato un evidente segno delle cinque dita della mano della maestra e dei grandi e pesanti anelli che solitamente indossava.

In realtà, a lei bastava lanciarci uno dei suoi agghiaccianti sguardi per intimorirci e pietrificarci. Sin dalla prima elementare ci “caricava” di compiti da svolgere a casa, tanto che ero costretta a svolgere gli esercizi fino a tarda serata e a volte anche a svegliarmi prestissimo la mattina per completarli. Ricontrollavo mille volte se avevo svolto tutti e bene gli esercizi, ma, nonostante ciò, ogni mattina mi recavo a scuola con il panico nel cuore. Gli esercizi che più spesso assegnava riguardavano la calligrafia, che doveva essere impeccabile,  e la noiosissima memorizzazione di poesie. Fu proprio uno di questi esercizi di memorizzazione a segnare inevitabilmente la mia esperienza formativa e, oserei dire, la mia vita: frequentavo la quarta elementare, quando la maestra dovette affrontare una tragica situazione, quale la morte di sua sorella, e tornata a scuola, volle condividere con noi il suo dolore, dettandoci e facendoci memorizzare una lunghissima e tetra poesia che descriveva molto dettagliatamente la morte. Per me e i miei compagni, a primo impatto, fu un vero trauma, ma poi mi dissi: “se la poesia racconta la vita e, quindi, le cose belle di essa come l’amore, la gioia, perché non può anche raccontare le cose brutte come il dolore, la morte, la sofferenza?”. Da quest’esperienza sono rimasta affascinata dalla magia, ma anche dal realismo che può caratterizzare la poesia.


                                                                                        Rosa Angiulli
 
Contributo N°11


La maestrina di Monticello
 
"Maestra, mi son bela, mi son guardata ne lo specio".
"Tutte le bambine venete sono belle come le novaresi...."
Così inizia una pagina di diario della maestra Tonina.
Una delle primissime supplenze le era capitata a trequarti d'ora di bicicletta dal suo paese.
Giunta a Monticello nel cortile della scuola piena di bambini, le si avvicina il vecchio bidello e l'accompagna in classe.
"Da dove viene signorina?" "da Borgolavezzaro" "e com'è il suo nome?"
"Mi chiamo Radice".
Il vecchio bidello si ferma, la guarda e poi "Non è possibile, la mia maestra veniva da Borgolavezzaro e si chiamava Radice nei primi anni del 900".
"Oh! Sì era la mia zia Angiolina sorella di mio padre".
Il bidello mentre spolverava la cattedra conclude scuotendo la testa "Sono entrato in prima elementare con la maestra Radice e forse andrò in pensione con una maestra Radice".
Venne finalmente la nomina per un paesino di montagna ai piedi del monte Rosa; era il passaggio d'obbligo di tutte le insegnanti nelle sedi disagiate: una pluriclasse di bambini di pastori, boscaioli, contrabbandieri; le volevano bene come a una seconda mamma e dopo le lezioni andavano con la maestra a cogliere i primi fiori nei prati o a giocare nella sempre abbondante neve.
Lasciati a malincuore quei marmocchi, che tra l'altro in estate andava ancora a trovare, ebbe il trasferimento in città o meglio nella grande frazione di Torrion Quartara.
Qui per oltre trent'anni svolse la sua missione di educatrice.
Ambiente principalmente agricolo con l'allora numerosa manodopera arrivata dal Polesine e da altre zone povere. Qualche benestante e qualche professionista con villetta.
Un parroco attivissimo che è riuscito a costruire l'oratorio per i ragazzi dove la maestra collaborava assiduamente.
Non avendo famiglia riversava i suoi affetti e il lavoro alla mamma e alla scuola.
Appena una semplice licenza magistrale, un patrimonio di doti preziose, oggi forse sparite, che si chiamavano dedizione, pacatezza, rispetto della storia di ogni bambino con i suoi tempi di crescita e di apprendimento.
Dalle ultime pagine del suo ultimo diario.
Dopo molti anni che aveva lasciato la scuola le capitò un fatterello, tra i tanti, di conferma dell'affetto che si era guadagnata tra i ragazzi.
Si fermò a un distributore di benzina dell'alta provincia.
L'addetto svolge la funzione e poi guarda la cliente.
Allarga le braccia e "Ecco la mia maestra di Monticello", le stringe la mano e quasi rifiuta l'importo della benzina.
"Grazie maestra che ha saputo domarmi, ancora grazie".
Commosso la saluta con la mano mentre l'auto si allontana.
Mi torna in mente il bell'apprezzamento che il giornalista scrittore Gramellini fa di quell'esercito silenzioso delle maestre elementari della scuola pubblica italiana che hanno tirato su una nazione, con stipendi di fame, ma meritandosi qualcosa che molti potenti non avranno mai.
Il nostro rispetto e il nostro grazie.

                                                                                    "Da brevi racconti di memorie"
                                                              Di Gino Radice