venerdì 25 aprile 2014

25 aprile

Per non dimenticare.

                                                  Un mestiere pericoloso


Nel 1944/45 mi fu assegnata una pluriclasse I-II-III a Croce di Fontaneto d’Agogna. La frazione  era formata  da cascinali sparsi, senza luce elettrica, acqua potabile, fognatura, negozi, chiesa. Ero pure senza alloggio e gentilmente potei usufruire di una mezza camera (l’altra metà era adibita a deposito di granaglie), con un pagliericcio di fortuna, per comodino la mia valigia con sopra una candela e con gli abiti appesi alla parete di sacchi che divideva la camera. Ovviamente niente riscaldamento. L’aula faceva parte di un’abitazione dove viveva una numerosa famiglia (Masseroni), di cui due ragazze (Giuseppina e Adele) divennero mie amiche e mi aiutarono a sopravvivere.

Era l’ultimo anno di guerra.

Gruppi di partigiani si fermavano per alcuni giorni, si rifocillavano macellando un bovino ed alcuni polli e, all’arrivo dei fascisti, se ne andavano. Rivedo una lunga fila di uomini che, dopo aver sepolto bagagli ingombranti sotto un mucchio di letame in cortile, spariscono nel folto dei boschi.

Ed ecco arrivare i fascisti che toglievano i tavolini della mia aula, mettevano paglia per terra e bivaccavano per  tutta la notte. Il padre di un mio scolaretto di I elementare venne fucilato perché trovato a lavorare nella sua vigna con addosso una camicia marrone e ritenuto perciò un partigiano.

Risento ancora le urla di disperazione di sua moglie, rimasta sola con due piccoli.

Il Natale del 1944 lo trascorsi a casa. Terminate le vacanze mio padre, che nel frattempo era stato temporaneamente congedato perché la guerra con la Francia era terminata, mi accompagnò a Novara in bicicletta e mi lasciò alla corriera per Borgomanero. Dopo un breve tratto la corriera si fermò e non potè più proseguire. C’era la neve sulla strada, ero carica di bagagli, ma fortunatamente davanti a me un carretto trainato da un  cavallo andava nella mia stessa direzione. Vi appoggiai sopra la grossa valigia e mi incamminai a piedi fino a Fontaneto, dove lasciai la valigia pesante e proseguii con il restante bagaglio su per la collina in mezzo ai boschi, per arrivare infine alla frazione Croce distante ancora 5 km. Mi vennero incontro due partigiani che gentilmente si prestarono ad accompagnarmi. Io ero terrorizzata perché nei giorni precedenti erano stati presi e condannati alcuni di loro e temevo che potessero accusarmi di averli traditi. Ovviamente non parlavo con nessuno della situazione in cui mi trovavo in quei posti, nemmeno con i miei genitori!

Tutto andò bene e arrivai alle 16 a destinazione: ero partita alle 8, per fare soltanto una trentina di chilometri! Non avevo mangiato e la mia padrona di casa dove dormivo, sempre gentile, mi cucinò due uova al tegamino. Vivevo, cucinavo e mangiavo nella mia aula dove c’era una stufetta “parigina” a legna, non avendo altro posto dove sistemarmi.

Venne il freddo, ma non c’era legna per il riscaldamento e mi ammalai. Un partigiano andò a cercare un medico che non voleva venire, date le circostanze. Alla fine fu convinto (non so in che modo) e si presentò con un grosso cane. Mi rimproverò di averlo messo in pericolo, ma mi diede le medicine. L’aula era sempre gelida e il medico mi proibì di riprendere l’insegnamento se non avessero portato la legna. Il Comune diceva che toccava alla frazione, che di rimando dava l’incombenza al Comune. Alla fine decisero. Ogni giorno uno scolaro, a turno, avrebbe portato un pezzo di legna!

Un giorno, dei partigiani seduti uno accanto all’altro in cortile, sul piano rialzato della casa, stavano pulendo delle armi. Io uscii dall’aula per buttare l’acqua sporca del pentolino in cui avevo cucinato il mio lauto pranzo (senza fognatura tutto veniva buttato nel cortile coperto di stocchi) quando partì una scarica ed un proiettile mi sfiorò. Io impallidii, ma anche tutti gli altri rimasero impietriti. Venne il comandante che li sgridò aspramente. Se avessero sentito i fascisti … o se mi avessero ferita …

Con la primavera maturarono le ciliegie e i miei scolaretti me ne portarono in quantità. Qualche volta aggiungevano un salame di loro produzione e così mi presi una colite che mi trascinai per più di trent’anni.

Col bel tempo, quando c’era vacanza, venivo a casa in bicicletta passando per l’aeroporto di Cameri, così potevo trascorrere qualche ora con i miei cari e rifornirmi di viveri.

Finalmente arrivò il 25 aprile.

Non ricordo come seppi della fine della guerra.

Nei boschi trovammo un piccolo aereo che, fortunatamente, non era stato scoperto.

Con le mie amiche  Giuseppina e Adele decidemmo di andare a festeggiare il 1° maggio a Borgomanero, in bicicletta, ma svegliandomi alla mattina e affacciandomi alla finestra, vidi tutto bianco. Era nevicato, i rami degli alberi con i frutti già ben formati erano così carichi di neve che si erano spezzati. Dovemmo rinunciare alla nostra gita … fuori porta!

La guerra era terminata, ma i disagi continuarono ancora per qualche tempo, finchè tutto si normalizzò.

                                                   Antonietta Bozzola Jourdan, Maestre allo sbaraglio