Nel 1944/45 mi fu assegnata una pluriclasse I-II-III a Croce
di Fontaneto d’Agogna. La frazione era
formata da cascinali sparsi, senza luce
elettrica, acqua potabile, fognatura, negozi, chiesa. Ero pure senza alloggio e
gentilmente potei usufruire di una mezza camera (l’altra metà era adibita a
deposito di granaglie), con un pagliericcio di fortuna, per comodino la mia
valigia con sopra una candela e con gli abiti appesi alla parete di sacchi che
divideva la camera. Ovviamente niente riscaldamento. L’aula faceva parte di
un’abitazione dove viveva una numerosa famiglia (Masseroni), di cui due ragazze
(Giuseppina e Adele) divennero mie amiche e mi aiutarono a sopravvivere.
Era l’ultimo anno di guerra.
Gruppi di partigiani si fermavano per alcuni giorni, si
rifocillavano macellando un bovino ed alcuni polli e, all’arrivo dei fascisti,
se ne andavano. Rivedo una lunga fila di uomini che, dopo aver sepolto bagagli
ingombranti sotto un mucchio di letame in cortile, spariscono nel folto dei
boschi.
Ed ecco arrivare i fascisti che toglievano i tavolini della
mia aula, mettevano paglia per terra e bivaccavano per tutta la notte. Il padre di un mio scolaretto
di I elementare venne fucilato perché trovato a lavorare nella sua vigna con
addosso una camicia marrone e ritenuto perciò un partigiano.
Risento ancora le urla di disperazione di sua moglie,
rimasta sola con due piccoli.
Il Natale del 1944 lo trascorsi a casa. Terminate le vacanze
mio padre, che nel frattempo era stato temporaneamente congedato perché la
guerra con la Francia era terminata, mi accompagnò a Novara in bicicletta e mi
lasciò alla corriera per Borgomanero. Dopo un breve tratto la corriera si fermò
e non potè più proseguire. C’era la neve sulla strada, ero carica di bagagli, ma
fortunatamente davanti a me un carretto trainato da un cavallo andava nella mia stessa direzione. Vi
appoggiai sopra la grossa valigia e mi incamminai a piedi fino a Fontaneto,
dove lasciai la valigia pesante e proseguii con il restante bagaglio su per la
collina in mezzo ai boschi, per arrivare infine alla frazione Croce distante
ancora 5 km. Mi vennero incontro due partigiani che gentilmente si prestarono
ad accompagnarmi. Io ero terrorizzata perché nei giorni precedenti erano stati
presi e condannati alcuni di loro e temevo che potessero accusarmi di averli
traditi. Ovviamente non parlavo con nessuno della situazione in cui mi trovavo
in quei posti, nemmeno con i miei genitori!
Tutto andò bene e arrivai alle 16 a destinazione: ero
partita alle 8, per fare soltanto una trentina di chilometri! Non avevo
mangiato e la mia padrona di casa dove dormivo, sempre gentile, mi cucinò due
uova al tegamino. Vivevo, cucinavo e mangiavo nella mia aula dove c’era una
stufetta “parigina” a legna, non avendo altro posto dove sistemarmi.
Venne il freddo, ma non c’era legna per il riscaldamento e
mi ammalai. Un partigiano andò a cercare un medico che non voleva venire, date
le circostanze. Alla fine fu convinto (non so in che modo) e si presentò con un
grosso cane. Mi rimproverò di averlo messo in pericolo, ma mi diede le
medicine. L’aula era sempre gelida e il medico mi proibì di riprendere
l’insegnamento se non avessero portato la legna. Il Comune diceva che toccava
alla frazione, che di rimando dava l’incombenza al Comune. Alla fine decisero.
Ogni giorno uno scolaro, a turno, avrebbe portato un pezzo di legna!
Un giorno, dei partigiani seduti uno accanto all’altro in
cortile, sul piano rialzato della casa, stavano pulendo delle armi. Io uscii
dall’aula per buttare l’acqua sporca del pentolino in cui avevo cucinato il mio
lauto pranzo (senza fognatura tutto veniva buttato nel cortile coperto di
stocchi) quando partì una scarica ed un proiettile mi sfiorò. Io impallidii, ma
anche tutti gli altri rimasero impietriti. Venne il comandante che li sgridò
aspramente. Se avessero sentito i fascisti … o se mi avessero ferita …
Con la primavera maturarono le ciliegie e i miei scolaretti
me ne portarono in quantità. Qualche volta aggiungevano un salame di loro
produzione e così mi presi una colite che mi trascinai per più di trent’anni.
Col bel tempo, quando c’era vacanza, venivo a casa in
bicicletta passando per l’aeroporto di Cameri, così potevo trascorrere qualche
ora con i miei cari e rifornirmi di viveri.
Finalmente arrivò il 25 aprile.
Non ricordo come seppi della fine della guerra.
Nei boschi trovammo un piccolo aereo che, fortunatamente,
non era stato scoperto.
Con le mie amiche
Giuseppina e Adele decidemmo di andare a festeggiare il 1° maggio a
Borgomanero, in bicicletta, ma svegliandomi alla mattina e affacciandomi alla
finestra, vidi tutto bianco. Era nevicato, i rami degli alberi con i frutti già
ben formati erano così carichi di neve che si erano spezzati. Dovemmo
rinunciare alla nostra gita … fuori porta!
La guerra era terminata, ma i disagi continuarono ancora per
qualche tempo, finchè tutto si normalizzò.
Antonietta
Bozzola Jourdan, Maestre allo sbaraglio