Un grazie alle maestre che lo hanno ideato, tra le quali siamo felici di ospitare Maria Cristina Mecenero, sceneggiatrice del film - documentario:
"L'amore che non scordo - Storie di comuni maestre".
Vi scriviamo grate di questo spazio che avete inaugurato. Vogliamo dare il via alla nostra partecipazione al blog e lo facciamo in tre mosse: ci presentiamo, vi informiamo di una iniziativa, vi inviamo una narrazione.
Ci
presentiamo
Siamo
un gruppo di maestre della scuola pubblica italiana. Da novembre 2010 ci stiamo
incontrando a Bologna, provenendo da varie città. Ci siamo chiamate Maestre in ricerca e in movimento, è così infatti che ci sentiamo. Siamo
partite dalle necessità di darci forza reciprocamente.
E dal desiderio di tirare fuori luce e un senso più grande in ciò che facciamo
a scuola, con bambine e bambini. Proprio ora, in questi tempi. Per certi versi
sotto le macerie e tra la polvere di ciò che rimane della scuola pubblica
italiana.
Nella
nostra impresa cerchiamo di investire ciò che c’è di speranza, sogno,
desiderio.
Rimanere radicate all’essenziale grazie
ad altre maestre e a chi sceglie di stare con intelligenza e sensibilità vicino
all’infanzia: questo è il nostro intento e abbiamo
trovato nel vostro libro, Maestre allo
sbaraglio, più di un filo di continuità.
Vi
informiamo di un’iniziativa
A
Milano alcune di noi si stanno ritrovando con altre/altri per organizzare un incontro nazionale sull’essere donne e
uomini in educazione (a scuola, oppure in università, in associazioni che
si occupano di formazione) in questo momento nel nostro paese. Per comprendere
e mettere sempre più in circolo la libertà femminile, il suo manifestarsi nelle
più piccole, nelle adolescenti, in noi che insegniamo; per riconoscere le nuove
modalità relazionali tra maschi e femmine; per portare alla luce il cambiamento
maschile e ciò che già si fa nella direzione di scambi creativi, anche
conflittuali, che consentono di cambiare in meglio le condizioni del vivere
insieme.
Lavoriamo
intorno a tre nuclei:
·
madri-padri, come stanno cambiando nella
loro relazione con i figli e le figlie e la scuola, perché la libertà femminile
e il cambiamento maschile è in atto.
·
La nostra libertà e la nostra forza di
donne in gioco nella scuola: bisogna a questo punto che sia una consapevolezza
più radicale a guidarci ed è necessario destrutturare evidenti stereotipi del
maschile e del femminile che ancora persistono. Anche portando nelle aule con
fierezza e convinzione i prodotti culturali delle donne, attraverso poete,
artiste, letterate che conosciamo e amiamo.
·
La connessione con la ricerca di altre/i
verso un sapere necessario per una buona vita: un sapere relazionale, rispettoso dei legami con gli esseri umani e con la
terra.
Associazioni, gruppi spontanei, movimenti di libere
cittadine e cittadini sono alla ricerca di nuovi modi di vivere e sperimentare
la convivenza: tenere la scuola, l’infanzia e chi insegna, in questo orizzonte
più grande, dà forza, slancio e respiro.
L’incontro
sarà organizzato SABATO 12 aprile
2014 (ore 9.30-13.00; 14.30-18.30), DOMENICA 13 APRILE (ore 9.30-13.00).
Si
svolgerà a Verona, il sabato
all’università, la domenica mattina in un’altra sede non ancora definita
(dovrebbe essere sant’Eufemia).
Il titolo provvisorio:
Sono cambiate molte cose. Cosa ci fa vivere bene a scuola o in educazione?
Donne e uomini in ricerca raccontano e si confrontano.
Una narrazione
Vi
inviamo uno dei racconti scritti in questi anni da alcune di noi. Altri ne
seguiranno.
Come
maestre in ricerca e in movimento mettiamo al centro le narrazioni per “vedere”
la realtà in cui siamo immerse, per praticare il discernimento e comprendere in
che direzioni spingono vissuti, esperienze, abitudini, certi approcci verso
l’infanzia (per esempio, quello dei disturbi specifici di apprendimento, o dei
test Invalsi, l’uso dei voti, il registro on-line). Raccontiamo, ragioniamo,
scriviamo. E’ altamente liberante, autorizzante, sostenente.
Narriamo
per potenziare le nostre consapevolezze, anche facendo chiarezza dei nostri
credo, e mettendo a fuoco l’influenza dell’organizzazione sulla qualità delle
esperienze educative; e per reinventarci e scegliere, il più possibile in
libertà, le pratiche di insegnamento/apprendimento e le modalità e le forme dello
scambio con le bambine, i bambini, le loro madri e i loro padri, con le
colleghe/i colleghi, con le/i dirigenti.
Libertà,
reciprocità e felicità sono parole da cui ci facciamo guidare, insieme alla
congiunzione e: dentro e fuori, bene e male, contentezza e depressione,
senso di fallimento e ricerca di
altro, terra e cielo.
Viva
le reti, le convergenze, e il momento presente!
Maria Cristina Mecenero e Clara
Bianchi
Sentire l’aria
(narrazione di Paola Massaro, gennaio 2011)
In questo periodo, i giorni in cui
incontro le bambine e i bambini sono una specie di pausa dentro un tempo di
insensatezza. So bene che questo può essere rischioso, portandomi a vivere il
rapporto con loro come una specie di cura per la malattia e il disagio che
sento dentro e tutto intorno (battendo la tastiera è uscita la parola INTERNO
al posto di INTORNO, che esistano anche i lapsus di scrittura?): un viaggio
verso un’isola verde. E io non voglio
fare la vampira delle energie che bambini e bambine mi offrono.
Momenti
di ben-essere
(felicità
resta una parola con cui faccio fatica a rapportarmi e non è l’unica)
Eliza è una bambina nata in Macedonia,
arrivata in Italia qualche anno fa, che ha frequentato una parte della scuola
dell’infanzia. E’ minuta, carina; arriva a scuola di corsa, perché è una dei
pochi che viene a piedi. E’ già questo me la fa apprezzare. Il suo sguardo
schivo rivela la timidezza; il sorriso pronto la voglia di comunicare.
Sento che il mio rapporto con Eliza sta
prendendo forza, che passa tra noi due una fiducia reciproca che ci fa osare:
lei si butta nel lavoro accettando di sbagliare, prova e riprova con tenacia.
La stessa che mette nel restare con la mano alzata per aspettare il turno di
parola, senza desistere davanti alle risposte articolate dei compagni e delle
compagne italiane, che raccontano di una vita decisamente più piena della sua come
incontri, oggetti, viaggi……. Non molla, ci prova.
Io che le affido incarichi: ho
cominciato mandandola dalle bidelle per varie richieste il primo anno quando
era sempre silenziosa, fino ad oggi, quando le chiedo di parlare a nome della
classe in certe occasioni, o di coordinare un gruppo di lavoro e rendere conto.
Io che le chiedo di dire al compagno le proprie ragioni, mentre mi guarda
seria.
E lei accoglie, senza fretta, comunque,
si cimenta; sento che le mie aspettative le fanno bene e che stiamo imparando
l’una dall’altra.
Questa bambina con la sua fiducia e
disponibilità ad accogliere le mie proposte, anche quando le risultano
complesse e strane - vedo la sua espressione preoccupata oppure mi chiede altre
spiegazioni (ora dal banco, prima veniva alla cattedra) - mi porta a cercare
consegne di lavoro e mediazioni che siano aderenti alla vita, che abbiano un
senso vero.
Credo di avere scoperto la sua forza il
giorno che mi si è avvicinata, mentre chiamavo i bambini di altra lingua madre
che dovevano andare con l’assistente linguistica per curare il loro italiano, e
a bassa voce mi ha chiesto accorata: “Maestra manda anche me perché io non
capisco tanto”. Le ho risposto: “No tu resti con me, io so che sai fare...”. Ha
sorriso ed è tornata al posto.
Provo ben-essere quando bambini e
bambine sono così presi dalla situazione di confronto e di esperienza che si è
creata che procedono con la velocità e l’energia del gioco nelle loro scoperte,
sollecitandosi a vicenda; allora gli scambi sembrano una palla che passa da una
mano all’altra.
Capita spesso con le parole nuove:
come le conquistano, facendole proprie.
L’altro giorno da una storia si è spinta
in fuori la parola diroccato, riferita ad un ponte: cosa vuol dire?
chiede qualcuno. Ecco pronta una risposta: che è un rottame. Lancio
delle precisazioni, allora qualcun altro propone: taroccato. Avverto che
ancora non ci siamo e mi avvio a spiegare, quando mi anticipa Alassane (è nato
in Italia, da genitori del Senegal), che ha una vera passione per le parole
nuove e le usa con gran ricchezza: “Ah, ho capito come le arance tarocco…”
e così il nostro scambio continua fra il serio e il divertito. Quando chiedo
proponendo un nuovo termine se lo conoscono o cosa ipotizzano significhi,
cominciano - merito di Maria la mia collega che è ora in pensione, ma è stata
con loro per una parte della classe prima - ad analizzare la parola, a
scomporla, a cercarne i parenti…… Colgo che stanno entrando nei meccanismi
linguistici e di creazione e questo mi piace, tanto più che ho davanti molti
bambini e bambine di lingua madre differente.
Situazioni simili, avvengono anche
durante le attività di storia o geografia; in varie occasioni la mia lezione ha
preso una piega imprevista, aprendo nuove possibilità di lavoro per me come per
loro. Quando questo accade io mi sento davvero bene, il tempo vola, trovo idee
per proseguire dalla sollecitazione ricevuta e cambiare la programmazione.
Questo stato diventa evidente, anche ai bambini e alle bambine stesse; per
esempio, un giorno, Albin (è un bambino albanese più grande degli altri,
inserito in classe lo scorso anno) lo ha colto: “Maestra sei contenta”.
Ma si nota anche perché si forma una
sorta di effervescenza in classe, per cui i bambini si muovono, scambiano fra
loro commenti, volano risate...Si respira una diversa aria, da formicaio.
Lo ha rilevato, con un certo stupore
positivo, anche la collega di sostegno che segue Mohammed e il venerdì resta
con noi durante l’attività di geografia: sulle rappresentazioni dello spazio, i
punti di vista e di riferimento che stavo trattando, bambini e bambine sono
intervenuti numerosi con domande e osservazioni, legate alle loro esperienze;
“Ti piace proprio che i bambini ti propongano le loro idee…” ha commentato.
Questi non sono, lo so bene, eventi
straordinari e so anche che in altre giornate molto va storto; però sono mattoni,
momenti a cui posso riferirmi, a cui tutti - io e bambini e bambine - possiamo
riferirci perché li abbiamo condivisi e ci hanno creato agio.
Quando ho cominciato ad insegnare come
supplente - un sacco di anni fa - ciò che immediatamente mi entusiasmò e
interessò furono le domande dei bambini e delle bambine (nel mio ricordo
loro erano meno attive in questo senso), che mi aprivano una finestra sulle
loro elaborazioni, gli aggiustamenti personali che producevano per darsi
spiegazioni, per capire il mondo. Da alcuni anni con dispiacere mi sono accorta
che questa non è più una propensione per la maggior parte di bambini e bambine:
quando arrivano alla scuola primaria sembrano già appagati e pieni. Così ho
cominciato a considerare un obiettivo vero e non da registro quello di
abituarli a farmi domande/a farle alla classe/ al singolo compagno/a, affinché
imparino a interrogarsi. Non faccio grandi cose, non è necessario, per fortuna,
perché liberato un tempo quotidiano da dedicare a questa forma di pensiero,
dando il buon esempio e cominciando a far entrare aria fra e troppe
informazioni, immagini, risposte anticipate… bambini e bambine hanno
ricominciato a domandare. All’inizio mi domandavano senza aspettare poi di
fatto la risposta, mia o di altri compagni, ora le domande esprimono un
interesse vero, una ricerca di comprensione.
Domande come segno di partecipazione e
presenza:
sorrido quando Albin o Marco, alzando la mano, mi avvisano che: “Devo dire due
domande……” intendendo dire, dammi tempo.
Domande come nuovo gioco tra me e la
classe, ma anche dei bambini/e tra loro: ha cominciato Giovanni: “Maestra mi sa
che a questa domanda non sai rispondere……Questa è difficile!”
Domande come segno di interesse verso
gli altri e le altre:
quando nel cerchio mentre un compagno sta raccontando una propria esperienza
spesso qualche altro chiede di poter capire meglio e dunque di fare una
domanda.
Stanno così imparando anche a
rispondere.
I momenti di ben-essere con i
bambini e le bambine sono come lievito per la nostra relazione; si crea
armonia, una situazione in cui riesco ad avvicinarmi maggiormente al gruppo e
ai singoli, conoscendoli, anche conoscendomi un po’ di più.
Mi chiedo come fare in modo che non
siano solo un appagamento emotivo, in cui ci si sente forti e diventino invece
occasioni per insegnare meglio, per trovare forme di proposta rispettose di
ogni bambino e bambina, ma anche capaci di spingerli più avanti nella
conoscenza di sé, degli altri e del mondo, per dare loro strumenti di
rappresentazione, interpretazione ed azione.
Come dire: quale posizione devo assumere
per essere utile, come maestra; quali necessari confini di azione e nella guida
devo darmi, per non passare dal ben-essere al senso di onni-potenza?
Stare con le altre maestre delle classi
in cui lavoro, confrontarmi ogni giorno o ogni settimana era per questo
salutare. Con i cambiamenti degli ultimi anni, questa possibilità di
riflessione e interrogazione mi è resa sempre più difficile nella quotidianità.
La ricerco altrove, come accade qui con voi, fra noi.
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