martedì 25 aprile 2017
lunedì 24 aprile 2017
Festa della Liberazione
XXV APRILE: fine del secondo conflitto mondiale e LIBERAZIONE dalla dittatura fascista.
RODARI: per spiegare la pace e la guerra ai bambini … e forse anche ai grandi.
PROMEMORIA (GIANNI RODARI)
Ci sono cose da fare ogni giorno:
lavarsi, studiare, giocare
preparare la tavola,
a mezzogiorno.
lavarsi, studiare, giocare
preparare la tavola,
a mezzogiorno.
Ci sono cose da fare di notte:
chiudere gli occhi, dormire,
avere sogni da sognare,
orecchie per sentire.
chiudere gli occhi, dormire,
avere sogni da sognare,
orecchie per sentire.
Ci sono cose da non fare mai,
né di giorno né di notte
né per mare né per terra:
per esempio, LA GUERRA
né di giorno né di notte
né per mare né per terra:
per esempio, LA GUERRA
DOPO LA PIOGGIA (GIANNI
RODARI)
Dopo la pioggia viene il sereno
brilla in cielo l’arcobaleno:
è come un ponte imbandierato
e il sole vi passa, festeggiato.
E’ bello guardare a naso in su
le sue bandiere rosse e blu.
Però lo si vede – questo è il male –
soltanto dopo il temporale.
Non sarebbe più conveniente
il temporale non farlo per niente ?
Un arcobaleno senza tempesta
questa sì che sarebbe festa.
Sarebbe una festa per tutta la terra
fare la pace prima della guerra.
brilla in cielo l’arcobaleno:
è come un ponte imbandierato
e il sole vi passa, festeggiato.
E’ bello guardare a naso in su
le sue bandiere rosse e blu.
Però lo si vede – questo è il male –
soltanto dopo il temporale.
Non sarebbe più conveniente
il temporale non farlo per niente ?
Un arcobaleno senza tempesta
questa sì che sarebbe festa.
Sarebbe una festa per tutta la terra
fare la pace prima della guerra.
Anna B.
venerdì 14 aprile 2017
sabato 8 aprile 2017
Festa per il Premio di Qualità della Microeditoria
Un ringraziamento a tutti coloro che hanno partecipato e hanno contribuito alla realizzazione della festa.
Nei dieci post successivi pubblichiamo nella loro interezza i lavori che ci sono pervenuti e da cui sono stati letti alcuni stralci durante la festa.
Locandina.
Articolo su "L'Eco Di Galliate".
Clicca sulla foto per scaricarla e ingrandirla.
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Susi Soncin ha letto il biglietto che la sua maestra le aveva scritto: lo conserva ancora gelosamente e con affetto poiché le parole di incoraggiamento l'hanno aiutata nella sua crescita. Ha desiderato condividere queste parole e l'emozione con i presenti.
Torta e attestato del premio
Con la Dirigente Alida Colombano: genitori, insegnanti, educatori.
Un pubblico interessato
Le maestre con l'editrice Dott.ssa Perotti di Astragalo.
Libere riflessioni sulla scuola e sulla responsabilità universale / Tempi che cambiano (e strani accadimenti)
Sono una millenial per definizione. Ho compiuto
diciotto anni nel 2000. Della scuola ho parecchi ricordi ed i migliori sono
decisamente quelli della scuola elementare. Ho frequentato la scuola pubblica a
Galliate, la città dove ancora oggi vivo, in un contesto scolastico che si è
dimostrato favorevole sia alla mia crescita individuale che a quella collettiva
della nostra classe.
Ho terminato il mio percorso di studi con il
conseguimento di un diploma accademico in Belle Arti. Oggi ho trentaquattro
anni e sono la mamma di Bianca, una bimba curiosa e estroversa di due anni e
mezzo.
Di recente mi sono trovata a riflettere in merito alle
parole del Dalai Lama sulla “responsabilità universale” e ho compreso che il
nostro presente storico può ritenersi una nuova era contraddistinta dalla
nascita di una comunità universale e che, volenti o nolenti, tutti i membri
dell'umanità, nonostante le varie diversità e unicità linguistiche e culturali,
dovranno presto imparare a convivere nel rispetto degli altri.
Quando andavo a scuola da piccola abbiamo spesso
discusso in classe di tematiche quali la solidarietà fra i popoli,
l'integrazione, l'accoglienza, la coesione fra persone di diverse etnie e
religioni, formando il nostro pensiero a riguardo.
Il presente, però, continua a porci nuovi
interrogativi che nascono dalla “pratica” e non più solo dalla “teoria”. La storia
che viviamo nel quotidiano ci sta facendo fare i conti con nuove realtà e nuovi
disegni geopolitici ai quali partecipiamo non più in qualità di spettatori
passivi ma come fautori di questo nuovo capitolo storico. E alcune di queste
tematiche, che solo un ventennio fa potevano sembrare astruse e lontane, si
presentano con forza dirompente.
La società si presenta come mai prima d'ora variegata,
stratificata, piena di diversità e contraddizioni, ma non per questo priva di
realtà di integrazione fra i diversi individui che la compongono. I valori
possono e devono fungere da “collante”.
Gli uomini di oggi sono viaggiatori. Fanno nuove
esperienze, si trasferiscono per lavoro o per migliorare la qualità della loro
vita ed entrano maggiormente in contatto diretto con realtà che non sempre
conoscono a pieno. Essi, però, hanno dimostrato grande capacità di adattamento,
di integrazione e di interconnessione, grazie anche al supporto dato dalle
nuove tecnologie e forme di comunicazione. La tutela dei valori quali la
comprensione e l'ascolto delle necessità dell' “altro”, possono rivelarsi utili alla non-alienazione
del singolo e alla creazione di una nuova “rete” sociale non più composta solo
da chi si riconosce come “simile”, ma anche da chi si presenta come “nuovo” e
“diverso” e che, a tutti gli effetti, fa parte del tessuto sociale universale e
della grande famiglia dell'umanità.
Nostro compito è quello di educare i bambini
all'accettazione dell'individuo, e non più solo attraverso i grandi temi, ma
anche tramite la cultura dell'integrazione, della generosità, della capacità di
confronto e del rispetto degli altri.
Per cui il ruolo fondamentale della scuola primaria,
oltre a quello nozionistico, è quanto mai complicato: deve poter fornire i
giusti strumenti a quelli che saranno gli adulti di domani affinché sappiano
porsi nei confronti delle nuove sfumature sociali, non solo attraverso la
capacità di analisi, ma anche tramite la facoltà di rapportarsi direttamente.
I piccoli semi che i maestri e le maestre di oggi
pianteranno, un giorno fioriranno nelle menti degli alunni che, diventati
grandi, cresceranno come esseri senzienti, cittadini del mondo, persone dotate
di giudizio critico e capaci di rispettare sé stessi e gli altri. O, perlomeno,
questo è l'augurio che io faccio a tutti loro. I bambini avranno il dovere di
sviluppare un marcato senso di responsabilità universale e la scuola primaria
sarà il primo posto nel quale cominciare questo percorso.
Tempi che cambiano (e strani accadimenti)
Il filo che ci unisce
La bisnonna, all'occorrenza, sapeva usare lo schioppo.
Lavorava nei campi, toglieva i topi morti dalle trappole a mani nude senza
battere ciglio, allattava anche i bambini delle altre, tanto latte aveva. Per
non parlare dei suoi casoncei, la pasta ripiena più buona dell'universo,
fatta con le uova fresche delle sue galline.
La bisnonna non è andata a scuola perché ai tempi
c'era troppo da lavorare, le famiglie erano numerose e le bambine
rappresentavano una risorsa preziosa all'interno dell'azienda famigliare.
Abitava in provincia di Brescia, in un piccolo paesino dove non si vedevano
altro che stalle e risaie. Si chiamava Angela ed era la nonna di mio padre.
All'epoca non erano in molti a saper leggere e
scrivere, specie nei paesi di provincia dove l'importante era saper firmare i
documenti e neanche poi più di tanto. Al massimo si metteva una bella croce.
Era molto più importante aiutare i vitellini a nascere durante un parto
difficile, conoscere il *1) maggese e i cicli lunari, mondare bene il riso in
risaia e cucinare pasti sostanziosi per gli uomini che rincasavano con una fame
da lupi. E, ovviamente, occuparsi di nugoli di bambini che presto sarebbero
diventati soldati o spose. Una vita rude e semplice dove la luce era data dal
sole o dalle lampade a petrolio, il caldo d'inverno era quello del focolare e
d'estate il cielo era pieno di lucciole.
La nonna ricamava a mano il suo corredo, confezionava
vestiti, macellava gli animali del pollaio quando era ora, zappava la terra e faceva
di conto. Oltre a cucinare crostate incredibili e lucidare a mano i pavimenti
in marmo con la cera Sutter. La sera un brodino e via, a dormire presto perché
il giorno dopo si apriva la bottega. La nonna si chiamava Faustina ed era la
mia nonna materna.
Grande lavoratrice, da bambina abitava in una cascina
nella frazione agricola Le Fornaci a Oleggio. Quando era giovane ha vissuto la
seconda guerra mondiale aspettando come tutti notizie dal fronte; è così che ha
saputo di aver perso il suo primo fidanzato, morto in guerra come molti altri
giovani soldati. Poi si è sposata con mio nonno, un giovane garzone di
macelleria. La loro vita è girata tutta attorno alla loro macelleria bovina, di
via Canonico Diana a Galliate. Avevano anche un bell'orto dietro casa, dove il
nonno Nino coltivava verdure e peonie profumate e gli alberi da frutto
producevano succose pesche e dolci ciliegie. Ricordo ancora il ronzio gagliardo
delle api.
La nonna ha studiato fino alla quinta elementare ed
era molto brava in matematica, cosa che le è servita per più di trent'anni alla
cassa in negozio. Ma non si è mai interessata di politica, attualità o
letteratura. L'unica lettura di casa dei nonni è stato per decenni l'Eco di
Galliate. In un'epoca dove già molte donne proseguivano gli studi, guidavano,
insegnavano, lei non ha mai avuto altre aspirazioni se non quelle di giovare
all'attività di famiglia.
La mamma, invece, ha studiato fino al diploma di
maestra d'asilo. Le scuole medie le ha frequentate a Novara, all'Istituto
Immacolata dove restava in collegio per tutta la settimana, compresi i fine
settimana.
*1) maggese: o pratica del maggese; consiste nella
messa a riposo di un terreno, per la precisione di un campo agricolo, che
consente la coltivazione ed il riposo ciclico
I nonni lavoravano anche dodici ore al giorno in
negozio e non potevano occuparsi di lei. Mentre il diploma l'ha conseguito
presso la Scuola Magistrale, anche se non ha mai (o in rare occasioni
lavorative) usufruito del suo titolo di studi.
La mamma faceva la segretaria d'azienda e lavorava in
ufficio. Fumava tante sigarette e si alzava mezz'ora prima per truccarsi.
(Quello lo fa ancora oggi, ha solo ridotto le Muratti). Casa perfetta ma cibo
della rosticceria e forno a microonde. Non ha mai avuto feeling con la
cucina o con gli animali, né le è mai piaciuto stare a contatto con la natura,
fare sport o escursioni.
I bottoni sui pantaloni li sapeva cucire ma niente di
più. In compenso ha sempre avuto in tasca la patente, il bancomat e la carta di
credito ed un'attrazione per i bei vestiti e gli accessori eccentrici. Abbiamo
provato a regalarle uno smartphone: garantisce che ci sta provando ad
usarlo ma senza impegnarsi a fondo perché questo tipo di approccio esula dal
suo modo di intendere il telefono; ovviamente ha ancora un cellulare ibrido, a
metà fra quelli con la tastiera e quelli col display touch. Nonché
l'irrinunciabile telefono fisso. Ascolta Radio Italia Solo Musica
Italiana la mattina e guarda la De Filippi il sabato sera. Metodica, non le piace
che le si tocchino i capelli, (che porta cortissimi), non le piace leggere,
mentre le piace molto vivere seguendo ritmi scanditi, facendo particolare
attenzione alla pulizia della casa. Fare le faccende domestiche è la sua vera
passione: guardare una casa in ordine, pulita e rassettata aiuta il suo spirito
a mantenersi sereno. E' una persona che tiene all'amicizia e che della schietta
sincerità ha saputo fare virtù anche se mi insegna a non esporre forzatamente
le mie idee e i miei pensieri qualora questi possano ferire la sensibilità
altrui o essere incompresi. La mamma non ha portato avanti nessuna tradizione
di famiglia e ciononostante non se ne è mai fatta una colpa, anche perché vive
la sua vita secondo le sue regole, regole che lei stessa utilizza come binari
per navigare su di un'unica rotta.
Ha la scorza dura ma il cuore tenero.
Con la nascita di mia figlia ha riscoperto una
tenerezza che non provava da tempo.
Io? Io bhé, potete immaginarlo. Sono come voi. Ho
studiato fino a trent'anni. Lavori vari ed eventuali, anche se ciò che più amo
fare e vorrei che mi desse da mangiare è dipingere quadri. Sono andata a viver
da sola presto ma sempre sotto l'ala di mammà. Ho prole e marito ma
questo non fa di me una signora nel senso stretto del termine, solo una moglie
e una mamma; e, devo candidamente ammettere, che mi ci trovo molto bene in
questi “panni”, io che mai avrei pensato di volermi dedicare principalmente
alla famiglia. Cucino meglio di mia madre e non faccio delle questioni infinite
se c'è un po' di disordine in casa. In compenso, quando posso leggo, scrivo,
dipingo e ascolto musica. Mi ingozzo di tecnologia e ci perdo molto del mio
prezioso tempo; tempo che, ad esser sincera, potrei dedicare a cose ben più
sane come a fare una passeggiata o ad abbracciare un albero, ad esempio. Cani e
gatti li conosco, galline e conigli un po' meno. E di sicuro non riuscirei a
torcergli un pelo. (O una penna).
Chissà come sarà il paragrafo di mia figlia?
La mia scuola
Il ponte immaginario che congiunge la mia bisnonna a
mia figlia è un ponte corto se si pensa a quanti pochi anni sono trascorsi fra
la società rurale e industriale e la nuova società delle interconnessioni
tecnologiche, dal tempo delle biciclette a quello delle automobili elettriche,
dal tempo delle prime casse di risparmio all'home banking, dal tempo
delle merende sull'aia al tempo della spesa on line. Però è anche un
tempo lunghissimo per i grandi cambiamenti che sono intercorsi. L'innalzamento
dei tempi di scolarizzazione, i vari scossoni dell'economia, la
globalizzazione, la comprensione di più lingue e la possibilità che tutti
abbiamo di viaggiare e vedere il mondo hanno davvero reso questo intervallo
temporale uno spazio vasto e di difficile comprensione per le nuove
generazioni. Per i nativi tecnologici è possibile comprendere istintivamente le
tecnologie ma non la manualità, il mestiere di fare le cose con le proprie
mani. Hanno bisogno di chiavi di lettura per “leggere” correttamente il passato
e volgere il loro sguardo serenamente al futuro.
Credo appartengano a mia figlia molte di quelle cose
che mia nonna neanche poteva immaginare, ma mi chiedo se queste cose, un
domani, la renderanno felice. Ella vivrà
una nuova era che vorrei non fosse improntata solo sui consumi e sulla
velocità, ma anche sul ricordo delle tradizioni, perché uno dei grandi
insegnamenti che la sapienza dei nonni ci ha lasciato è proprio quello del
“saper aspettare”, ed è difficile insegnare ai nostri bambini il valore
dell'attesa in un mondo dove tutto è rapido e di facile accesso. Le cose
migliori hanno il passo lento, dicevano i nostri nonni. Vorrei che godesse di
tutte queste novità meravigliose, in mezzo alle quali è venuta al mondo, senza
soffrirne le controindicazioni! E mi piacerebbe pensare che la scuola del
futuro sia in grado di aiutarla a crescere bene nel pieno rispetto dello spirito
del suo tempo, parte integrante di una nuova collettività pur rispettando quei
valori che prescindono dal consumismo. Mi auguro che ricordi il passato della
nostra famiglia e la storia della sua nazione, ma che viva con slancio il
presente senza zone d'ombra. Mi auguro anche che provi il gusto di fare domande
e che i suoi maestri e le sue maestre riescano, con l'intelligenza che li
contraddistingue, a darle buone risposte, lasciando però qualche spazietto
vuoto per stimolare il suo ragionamento.
L'incendio
Avevo molti quaderni di quando andavo a scuola,
quaderni di tutte le materie, i famosi Pigna Cento che si usavano una volta. Ne
andavo fiera e avevo ragione di esserlo perché ero una brava scolara. Questi
“quadernoni” erano correlati da splendidi disegni che ritraevano me e i miei
genitori e tante altre situazioni vissute o immaginate. Temi ricchi di
considerazioni e particolari, degni di una vera osservatrice amante dei
dettagli. Purtroppo sono andati tutti bruciati in un incendio doloso che ha distrutto,
non solo mobilio e oggetti, ma anche un enorme pezzo della mia vita. Una notte,
alcuni individui rimasti ignoti, hanno devastato la casetta di campagna che
all'epoca apparteneva ancora alla mia famiglia, dal giorno in cui mio nonno
Nino la ereditò da suo zio Pietro. La notte dell'incendio un filo si è spezzato
e anche qualcosa dentro di me. Ho provato molti sentimenti contrastanti in
quella circostanza. Mi hanno pervasa sconquassandomi dalla testa ai piedi.
Prima lo sconforto e rabbia e il senso di impotenza. Infine la frustrazione e
il dolore, sentimento che noi occidentali cerchiamo con tutte le nostre forze
di scansare ma che, in effetti, è una sorta di benedizione perché è proprio
attraverso la sofferenza che si giunge ad una sorta di illuminazione. Anche
grazie a quello (e a molti altri dolori) sono diventata la persona che sono
oggi. Infondo, credo di aver perso solo le cose materiali in quell'incendio.
Per molti anni ho avuto la certezza di aver perso per sempre la prova tangibile
dalla mia infanzia, dei migliori anni di scuola, dei miei progressi di bambina,
eppure oggi so per certo che nulla è andato perduto. Ha solo cambiato forma.
Ora sta tutto alla mia memoria il non disperdere i bei
ricordi nell'oblio e, si sa, la memoria è fallace, talvolta ci trae in inganno,
deforma le cose a nostro piacimento. Però è anche vero che sono i sentimenti a
guidarla. Perciò è mio preciso compito quello di mantenere la mia brillante
stella polare accesa, il faro della memoria che illumina anche la notte più
buia. Dentro di me ci sono tutti i quaderni, i libri di scuola, i miei amati
romanzi (che fortunatamente ho potuto
ricomprare), le matite colorate e molto, ma molto altro! Ci sono i volti dei
miei compagni bambini, gli alberi in fiore nel cortile durante la ricreazione,
le annuali foto di classe nell'esatto momento in cui sono state scattate, la
maestra che, con le sue parole evocative, ci raccontava il mondo e le immagini
che si formavano nella mia testa, gli esperimenti di scienze, il profumo delle
tempere e la loro consistenza, la pioggia che batteva sui vetri e i colori
variegati degli ombrelli. L'odore dolce e salino della carta. Il sorriso di mio
nonno Nino che, all'uscita, mi aspettava con il sacchetto della merenda. E le
corse a perdifiato con la mia amica Donatella, a zig zag tra un trifoglio e un
altro. E che gioia quando si trovava un quadrifoglio! O quando una coccinella
si posava sul dorso di una mano. Pensavamo portasse fortuna. E, in effetti, a
ripensarci bene di fortuna ce ne ha portata. E anche molta. Perché, anche se la
vita spesso toglie, è anche capace di dare.
Carolina Gianotti
IO E LA SCUOLA… PRIMA ALLIEVA POI MAESTRA
“Ogni studente suona il suo strumento, non c’è niente da fare. La cosa difficile è conoscere bene i nostri musicisti e trovare l’armonia. Una buona classe non è un reggimento che marcia al passo, è un’orchestra che prova la stessa sinfonia”
Daniel Pennac
Ho “coltivato” la passione per la scuola fin dalle superiori, avendo scelto proprio per questo motivo il Liceo Socio-Psico-Pedagogico, seguito poi dalla laurea in Scienze della Formazione Primaria. In realtà però questa passione ha iniziato a svilupparsi in me già dall’infanzia. Ricordo quanto mi piacesse giocare con le amiche “alle maestre” e come osservavo mia mamma, insegnante di scuola primaria, prepararsi il lavoro.
Se penso al tipo di insegnanti che ho avuto penso subito alla “mia” scuola elementare, che per me ha rappresentato l’ingresso nel mondo scolastico, non avendo frequentato la scuola materna. In particolare penso ad una delle mie maestre. Ed è la stessa persona a cui ho sempre pensato, quando, durante le lezioni all’università o agli incontri di tirocinio, si parlava del/la bravo/a insegnante come una persona in grado di equilibrare l’attenzione all’aspetto didattico e alla vita extra-scolastica degli allievi e delle loro famiglie. Il suo insegnamento non riguardava solo nozioni di storia o geografia; era la persona a cui tutti, bambini o genitori, si riferivano per qualsiasi cosa, tanto che a volte io lo faccio ancora adesso, dopo oltre 20 anni.
Ricordo poi, facendo un salto in avanti di qualche anno, alcune figure di riferimento alle superiori, in particolare le professoresse di educazione fisica e di latino. Due stili molto diversi, ma entrambi significativi per la mia formazione, tanto quella personale quanto quella professionale.
E poi penso a casa, agli esempi, alla guida, ai consigli e ai confronti costanti con alcune care amiche maestre e, soprattutto, con mia mamma e mia cugina, maestre e colleghe in famiglia.
Ma dopo aver brevemente citato le figure di insegnante che più hanno influenzato il mio vivere a scuola, penso: che tipo insegnante penso di essere? Che tipo di insegnante voglio essere?
Ora, potrebbe sembrare toppo facile dire: cerco di essere un’insegnante che sappia essere competente per quanto riguarda il processo di insegnamento-apprendimento ma sempre attenta e disponibile riguardo a quello sociale e relazionale. In fondo però io credo proprio che questi due aspetti non si possano dividere, questo è ciò che io vivo come relazione educativa. Insegnare, secondo me, implica automaticamente l’instaurazione di una “relazione” per poter generare un apprendimento che sia efficace; altrimenti è una semplice trasmissione di nozioni per la quale basterebbero i libri e persone esperte negli argomenti da proporre. Ciò in cui mi impegno ogni giorno è cercare di organizzare e animare le situazioni di apprendimento che propongo ai miei bambini, progettando attività e percorsi accattivanti, che rispondano ai loro bisogni e alle loro esigenze e ne stimolino curiosità e interesse. Così spero di rende attivo il processo di apprendimento, coinvolgendo i bambini in ogni sua fase, perché diventi significativo e duraturo.
Roberta Bergamo
Contributo di Giovanna Cosentino
Buongiorno, sono Giovanna.
L'anno in corso é il mio secondo da maestra di scuola dell'infanzia. Arrivo da 16 anni di lavoro come educatrice professionale in servizi rivolti a minori, adulti e famiglie. Vorrei condividere alcune riflessioni che ho fatto durante lo scorso anno per il percorso "dell'anno di prova", sono stralci del bilancio delle competenze iniziale e finale su alcune delle areedi riflessione proposte. Premetto che è stato un anno molto intenso: oltre ad essere alla mia prima esperienza da maestra, ho lavorato in una scuola di neo immissione statale, con le conseguenti difficoltà organizzative, in una sezione molto densa di differenze e complessità, con l'avvicendamento di varie supplenti, mancando la collega titolare. Nelle mie riflessioni emerge un forte vissuto di solitudine e la stridente differenza tra le modalità operative sperimentate da educatore e quanto ho incontrato nella scuola.
Quest'anno l'ambiente è più strutturato e lavoro con minore difficoltà, ma vorrei riuscire a mantenere e incentivare la mia abitudine alla riflessione sul lavoro nella sua complessità: la relazione con i bambini, le scelte educative e didattiche, i rapporti con le colleghe, con le famiglie e il territorio, il confronto e l'arricchimento reciproco: gli ingredienoi del nostro faticoso, ma costantemente arricchente, lavoro.
Lavorare in gruppo tra insegnanti
Iniziale:
Da sempre il mio lavoro (da educatore) si caratterizza per un’operatività spesso individualizzata a fronte di spazi di riflessione e confronto collettivo, anche attraverso uno scambio con figure professionali diverse e complementari. Questa mia prima esperienza di insegnamento mi sta facendo sentire la mancanza della dignità data dai contesti di lavoro educativi extrascolastici agli spazi di riflessione: a scuola sono sovente ridotti a scambi rapidi e occasionali, spesso maggiormente centrati sugli aspetti operativi a scapito di quelli pedagogici. Ritengo di avere buone capacità di lavoro in equipe: mi piace confrontarmi, cercare di integrare sguardi diversi, ascoltare le osservazioni e le ipotesi operative di altre colleghe, individuare e perseguire obiettivi e modalità condivise, partecipare e progettazioni corali; ritengo inoltre di avere buone capacità nel sollecitare, fare sintesi e organizzare l’operatività che ne segue. Non mi sento pronta a proporre strategie utili all’intero contesto scolastico, non avendo sufficienti esperienze in merito, ma sento di stare partecipando attivamente alla costruzione di una gestione “in progress” della quotidianità con uno sguardo proiettato nel futuro. Sto cercando di mantenere alcune delle modalità operative per me preziose nel lavoro educativo: il confronto con altre figure professionali interne ed esterne alla scuola, il confronto e dialogo tra colleghi, la co-progettazione e la reciproca valutazione in merito all’andamento dei vari interventi. Purtroppo non sto avendo la possibilità di farlo con la collega di sezione, poco presente per problemi di salute, che ritengo essere la figura di riferimento e confronto maggiormente assiduo e significativo per la costruzione di un contesto di crescita intenzionalmente fondato. Sto cercando quindi con l’insegnante di sostegno della sezione e nel gruppo allargato delle colleghe i riscontri e i confronti di cui sento il bisogno per calibrare e orientare costantemente il mio intervento.
Finale:
Ritengo di avere buone capacità di lavoro in equipe sia con i colleghi che con altre figure professionali: la capacità di leggere le situazioni, di ideare, di esprimere il mio punto di vista e portarlo avanti, ma anche quella di integrare sguardi, idee e ipotesi altrui nel percorso pensato. L'esperienza di quest'anno ha fatto emergere le criticità legate al tema del confronto e del dialogo tra i colleghi: sul piano operativo esso avviene spesso in maniera frettolosa, ma credo che manchino momenti adeguati per un confronto sui principi educativi fondanti l'agire, che ritengo andrebbero condotti grazie a un supporto esterno o almeno alla figura di un mediatore. Credo che sia possibile procedere alla progettazione e alla programmazione delle attività solo dopo aver raggiunto un accordo sui presupposti pedagogici che consentano di codificare un'idea di bambino e di crescita da parte di tutti gli attori in gioco. Credo debba aumentare l'abitudine a trattare queste tematiche, a discutere, a fare e accettare critiche costruttive, funzionali a trovare elementi di convergenza: basi da cui partire per scegliere contenuti e modalità operative. Un confronto costante serve a orientare il proprio agire, un feedback sullo stesso, consente di attivare gli opportuni aggiustamenti. Si potrebbe fare a livello di sezione, di intersezione e di plesso, in base all'organizzazione presente e alle modalità che si scelgono per portare avanti una programmazione condivisa. Questi aspetti sono stati affrontati in maniera altrettanto frettolosa di quelli operativi, affaticando il lavoro e ritrovandosi a ritrattare le medesime problematiche più volte. I momenti di equipe sono vissuti come momenti di ascolto, non di riflessione, esposizione del proprio pensiero o delle proprie difficoltà, in cui passano soprattutto contenuti e informazioni pratiche e si prendono decisioni sul piano operativo. Il dialogo e il confronto vengono rimandati a scambi occasionali e casuali, rapidi e spesso poco efficaci.
Partecipare alla gestione della scuola
Iniziale:
Attualmente la mia priorità professionale è far funzionare in maniera sufficientemente adeguata il gruppo classe nella quotidianità e supportare i bambini nella loro crescita giorno dopo giorno. Sono consapevole che questo non può prescindere dalla collocazione dello stesso in un’organizzazione più ampia, anch’essa in fase di strutturazione in quanto di recente acquisizione statale, di cui doversi prendere cura al fine di sostenerne e orientarne lo sviluppo. A tale scopo mi sto impegnando nel lavoro d’equipe con le altre colleghe della scuola dell’infanzia, nell’immaginare e porre le basi per degli sviluppi futuri, nel costruire e/o consolidare alleanze con le risorse scolastiche, del territorio e con le famiglie. Sto inoltre collaborando alla vita dell’istituto comprensivo, facendo parte di una delle commissioni di lavoro, ma ritengo di dover approfondire maggiormente le dinamiche e i funzionamenti sui vari livelli che ne caratterizzano la vita organizzativa. Mi piacerebbe partecipare in maggior misura ai processi di autovalutazione e agli interventi di miglioramento dell’organizzazione scolastica, continuerò a informarmi e a interagire con i diversi livelli organizzativi per poter ampliare le mie conoscenze in merito, ma ritengo che ogni cosa vada fatta nel momento in cui si hanno capacità ed energie da dedicarvi, che, attualmente, sono focalizzate sulla sperimentazione e la sedimentazione di molti altri aspetti, maggiormente legati all’operatività di sezione e di ordine di scuola.
Finale:
Credo molto nel lavoro di rete e nella necessità di integrare competenze e sguardi per poter leggere le complesse realtà che si creano lavorando con le persone. Inoltre, spinta dal senso di solitudine e disorientamento, provato soprattutto nella prima parte dell'anno scolastico, ho cercato diversi interlocutori, interni ed esterni all'istituto, con i quali confrontarmi e collaborare, così come facevo nel mio precedente lavoro. Ho attivato rapporti con i referenti scolastici del disagio, con la psicologa d'istituto, con i servizi sociali e la neuropsichiatria, con risorse territoriali funzionali alla formazione e al supporto dell'insegnante e delle famiglie. Sul piano più operativo ho attivato una collaborazione con la Biblioteca comunale, concordando delle letture e dei laboratori inerenti al tema del rispetto e del lavorare insieme; e la partecipazione a un progetto rivolto a tutte le scuole che ci ha dato l'opportunità di partecipare a una mostra aperta al pubblico. Tutti questi elementi sono stati per me un importante contenitore di senso e uno specchio in cui leggere i risultati del mio agire quotidiano. Ho partecipato anche a una commissione dell'istituto comprensivo che mi ha dato modo di conoscere e vedere dinamiche più complesse, che riguardano l'intera organizzazione scolastica, a cui ogni insegnante dovrebbe contribuire in maniera attiva. Ritengo che una continuità di servizio nella stessa scuola possa sollecitare una maggiore spinta alla partecipazione e all'investimento nel sistema in senso più ampio.
Informare e coinvolgere i genitori
Iniziale:
Ritengo di avere buone capacità di approccio alle famiglie: cerco costantemente un dialogo e un confronto funzionali alla costruzione di un rapporto di fiducia e all’individuazione di obiettivi e modalità educative condivise. Credo di avere buone capacità di accoglienza delle differenti situazioni che incontro, di analisi delle stesse e di differenziazione negli approcci sulla base delle diverse caratteristiche ed esigenze che emergono via via. Cerco un rispecchiamento costante dei loro vissuti, di quanto i bambini portano a casa dell’esperienza quotidiana a scuola, per poterci riflettere e riorientare modalità e contenuti di intervento. Sto cercando di rendere più consapevoli e partecipi i genitori anche delle difficoltà operative e dei vincoli che la scuola si trova ad affrontare (risorse economiche e umane limitate), cercandone la condivisione e la collaborazione, ciascuno per quanto e ciò che può. Ritengo di dover migliorare la mia capacità di esplicitare obiettivi, strategie d’intervento e modalità di verifica sull’intero gruppo classe, aspetto che so di saper gestire meglio a livello individuale. Mi piacerebbe acquisire maggiore sicurezza nel rendere comunicabili e spendibili le esperienze che ho vissuto, che vivo e che via via imparo a padroneggiare, per restituirle al gruppo dei genitori e alle famiglie come spunti di riflessione sul proprio agire educativo; mi piacerebbe attivare momenti di confronto funzionali a sostenerli nel loro faticoso compito e anche nel diventare, reciprocamente, potenziale risorsa.
Ritengo di avere buone capacità di accoglienza e ascolto delle famiglie, so differenziare le risposte in base alle richieste che vengono poste e alle caratteristiche delle persone con cui mi trovo ad interloquire. In questo mio primo anno il lavoro si è andato strutturando man mano che prendevo padronanza delle situazione, quindi ho cercato di comunicare alle famiglie quanto avveniva in classe e di accogliere quanto loro potevano osservare indirettamente attraverso i loro bambini. Credo di dover continuare a lavorare sulla comunicazione e la condivisione del lavoro in classe, delle motivazioni per cui si compiono determinate scelte pedagogiche-educative, sui contenuti proposti e sulle modalità con le quali si intende affrontarli. Ho cercato di costruire un'alleanza educativa con tutte le famiglie riuscendovi a diversi livelli con la maggior parte delle stesse. Ho cercato di dare e raccogliere indicazioni in merito allo star bene dei loro figli, di collaborare con alcuni familiari per sbloccare situazioni critiche, di condividere successi e fatiche. Anche sul piano concreto ho cercato la disponibilità per riparare o costruire materiali da utilizzare in classe (armadietti, bacheche, cucina, materiali didattici) avendo sempre un buon riscontro. Le colleghe hanno spesso criticato il mio approccio a bambini e famiglie come troppo accogliente e disponibile, troppo vicino, questo mi ha fatto riflettere sulla necessità di ragionare maggiormente su questo aspetto, di calibrare meglio accoglienza e strutturazione, disponibilità e limite, ascolto e indicazioni da fornire nel mio nuovo ruolo.
Grazie per l'opportunità di sentirmi parte di un movimento che pensa! Manteniamo un contatto!
Giovanna Cosentino
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